Cosa succede se Putin chiude il gas: 5 effetti per l’Italia!

Putin minaccia di sospendere le forniture di gas in Europa in risposta alle sanzioni. Quali sarebbero le conseguenze per l'Italia? Ecco i 5 maggiori scenari.

Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, l’Unione Europea – insieme a Stati Uniti e ad altri Paesi del mondo – ha varato pesanti sanzioni finanziarie contro Mosca e contro la sua inaccettabile e ingiustificata violazione internazionale.

Dal congelamento dei beni al divieto di esportazione fino all’estromissione dal Consiglio d’Europa, le sanzioni inflitte alla Russia sono pesantissime. Più volte, dall’inizio del conflitto, Putin ha minacciato di rispondere alle sanzioni subite, considerandole come una dichiarazione di guerra a Mosca. 

La principale preoccupazione dell’Unione è legata all’importazione del gas naturale, di cui la Russia è il principale fornitore mondiale. Circa il 40% del gas in Europa arriva da Mosca da ormai oltre 50 anni.

Lo scenario di una possibile chiusura dei rubinetti da parte di Putin potrebbe, quindi, avere conseguenze serissime, con possibili blackout e razionamenti della materia prima in Italia e in tutta Europa. 

La minaccia si fa più viva con l’ultima dichiarazione del vicepremier russo Aleksandr Novak, che nel suo ultimo comunicato alla BBC, ha annunciato che una possibile guerra sull’energia è in corso di valutazione, in risposta alle dure sanzioni subite. Queste le parole:

“In relazione alle accuse infondate ai danni della Russia per la crisi energetica in Europa e all’imposizione di un divieto al Nord Stream 2, abbiamo tutto il diritto di assumere decisioni corrispondenti e imporre un embargo al gas inviato attraverso il gasdotto Nodr Stream 1″. 

L’Italia è il secondo Paese dopo la Germania a maggiore rischio energetico, poiché la Russia rappresenta il suo principale fornitore di gas metano. Quali sarebbero le dirette conseguenze di questo malaugurato scenario?

Interruzione gas russo: cosa può succedere?

Se Putin dovesse chiudere il gasdotto, rischiamo davvero il blackout? Il dubbio sulla fornitura è naturalmente la più grande preoccupazione tra i cittadini, prima ancora dell’aumento dei costi. 

La Russia è il principale fornitore di metano in Italia: precisamente, il gas russo rappresenta il 43,3% del fabbisogno nazionale. Si tratta quasi della metà dell’intero approvvigionamento, per cui il nostro Paese avrebbe molto da perdere se questo accordo saltasse.

Questa, la conseguenza di una mancata diversificazione nell’acquisto del gas, che ci ha portato a dipendere maggiormente da un unico fornitore, a differenza di altri Paesi europei.

Tuttavia, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha rassicurato più volte gli italiani, sostenendo che l’eventuale interruzione, anche totale, della fornitura di gas non avrebbe grosse conseguenze nel breve periodo. Secondo il premier, le scorte a disposizione sarebbero sufficienti a coprire il fabbisogno energetico.

Il nostro Paese avrebbe ancora una scorta di 2,5 miliardi di metri cubi negli stoccaggi, in grado di soddisfare la domanda della popolazione, che si ritiene inoltre subirà anche un fisiologico calo con l’arrivo della primavera e di temperature più miti.

Questo quantomeno per quanto riguarda il breve periodo; una seria crisi energetica potrebbe far però capolino con l’arrivo del prossimo autunno, costringendo l’intera popolazione a grossi sacrifici.

Aumento importazioni di gas da altri Paesi

L’Italia importa ben il 95% del gas metano da altri Paesi, di cui il 43% proviene da Mosca. Il principale errore dell’Italia è non aver diversificato adeguatamente gli investimenti sul gas suddividendoli più equamente tra i fornitori esteri, finendo per dipendere quasi nettamente dalla Russia.

Anche perché – come riporta ilGiorno.itla Russia non ha garantito una fornitura stabile nel tempo. Si pensi infatti ai tagli sula fornitura a partire dall’inizio di questo inverno, con i conseguenti drastici aumenti sulla bolletta.

Con l’invasione russa in Ucraina, l’indipendenza dalle forniture russe diventa urgente e questo potrebbe determinare scelte affrettate, che andranno ad aggravare il surriscaldamento globale. In questi giorni è in corso infatti un piano nazionale esasperato per salvaguardare la sicurezza energetica in vista di un blocco delle forniture dalla Russia.

Nel caso specifico, le principali misure in atto per contrastare la crisi energetica sarebbero l’aumento della produzione interna con l’estrazione del gas in Italia (la Basilicata sarebbe secondo il Mise, la regione con più gas). Ciò costituisce tuttavia la percentuale più piccola dell’intero fabbisogno.

L’altra contromisura vede invece un aumento delle importazioni di metano da altri Paesi, come Algeria e Libia, prevedendo la fornitura aggiuntiva di circa 10 miliardi di metri cubi. 

Infine, la drastica misura di emergenza riguarda invece la temporanea riapertura delle centrali a carbone, collocate a La Spezia e Monfalcone. Una fonte di inquinamento atmosferico forzato, che ci fa indietreggiare nel programma volto alla sostenibilità ambientale. Senza contare che anche il carbone ci arriva dalla Russia.

Rischio blackout e razionamenti del gas

“Se si bloccassero i flussi di petrolio e gas da Mosca potremmo andare avanti per tre o quattro mesi, poi dovremmo cominciare a tagliare”

Se Putin chiudesse i rubinetti, per i primi tre o quattro mesi le scorte potrebbero ancora essere sufficienti a coprire la domanda interna. Dopodiché scatterebbe il piano di emergenza – secondo quanto afferma Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia, in un intervista a FanPage. 

Sebbene infatti gli Stati europei abbiano iniziato uno percorso di indipendenza dalla Russia, la strada per raggiungere a tutti gli effetti questo obiettivo è ancora lunga.

Con il piano di azione che rimpiazza il gas russo attraverso l’incremento della produzione interna e delle importazioni da altri territori, la Fondazione Eni ipotizza una fornitura massima di circa 58 miliardi, a fronte dei 70 miliardi di metri cubi utilizzati annualmente dagli italiani. 

Per questo, secondo il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani servono due anni – tra i 24 e i 30 mesi – per essere davvero indipendenti da Mosca. 

Nel frattempo, il governo potrebbe dover ricorrere al razionamento del gas, con disagi non solo alle famiglie, ma anche alle industrie.

Una maggiore stretta verrà richiesta alla popolazione, ad esempio attraverso un decreto che obblighi ad abbassare i riscaldamenti di un grado nelle abitazioni e negli uffici; una misura che secondo l’UE ci consente già di risparmiare circa 10 miliardi di metri cubi.

Aumento prezzi gas e maggiore inquinamento

Purtroppo abbiamo già avuto modo di constatare il vertiginoso aumento dei prezzi delle materie prime sulle nostre bollette, e sappiamo bene che il conflitto in Ucraina non può che aggravare le cose in questo senso. L’aumento dei costi è anche un’arma a doppio taglio da parte di Putin.

Frattanto che gli accordi sono ancora in piedi, la Russia incassa circa 2 miliardi di dollari al giorno, secondo quanto riporta il Corriere.it. Ma se anche questi accordi saltassero davvero, la scarsità di energia porterebbe comunque a uno spaventoso aumento dei prezzi, dal quale quindi sembra non esserci scampo almeno nel breve termine. 

D’altro canto, l’esasperata corsa alla sicurezza energetica ci sta portando a cercare riparo in contromisure molto inquinanti, come l’uso delle centrali a carbone o l’aumento delle estrazioni. Si stima che la riattivazione delle centrali possa determinare un aumento delle emissioni di Co2 pari a ben 30 milioni di tonnellate in breve tempo. Circa il 10% delle emissioni nazionali!

Questo è il prezzo da pagare per un mancato piano nazionale nella diversificazione delle importazioni di metano, che renderà quindi anche vani gli sforzi e gli obiettivi raggiunti nella lotta al riscaldamento globale.

Verso un futuro più sostenibile?

Potrebbe quasi sembrare un paradosso. Ma se nel breve termine si prevedono grandi impatti sull’inquinamento atmosferico e sul riscaldamento globale – risultato dell’urgenza di correre ai ripari – la crisi potrebbe portare a un rinnovamento energetico nel lungo periodo.

Il premier Draghi ha parlato in più occasioni della “rinascita di una nuova UE”, più sostenibile. Il Piano della ripresa dell’Europa, messo in atto dalla Commissione Europea per fronteggiare la crisi da Covid19, ha come principale obiettivo quello di rendere l’Europa più verde, investendo nella produzione di energia rinnovabile. 

Questo punto assume oggi maggiore valore, nell’ottica di un’indipendenza dalla Russia. Possiamo quindi aspettarci che i piani dei governi europei saranno mirati a punteranno all’accelerazione del programma sulle fonti sostenibili. 

Un segnale arriva già per esempio dalla recente delibera del governo per garantire installazioni libere di pannelli solari e impianti fotovoltaici a uso domestico, di pari passo con i vari bonus casa elargiti per tutti i lavori a scopo di rinnovamento energetico.

Secondo QuiFinanza, con queste misure si stimerebbe un aumento di 6 miliardi di metri cubi l’anno di energia non inquinante. Un unico spiraglio di luce nel futuro di un’Europa devastata da crudeli violenze e da una crisi senza precedenti.

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