Pensioni, gli errori costano 200 milioni all’Inps

Gli errori possono costare cari e a volte il loro valore può anche essere quantificato. Soprattutto quando si parla di pensioni e di conti Inps da pagare.

Gli errori possono costare cari e a volte il loro valore può anche essere quantificato. Soprattutto quando si parla di pensioni e di conti Inps da pagare. Questa volta a finire nel mirino delle inchieste giornalistiche sono le pensioni, che non sono mai state erogate o quelle che sono arrivate, ma in maniera completamente sbagliata. Abbiamo davanti sostanziali decurtazioni, se non addirittura mancanti riconoscimenti dell’invalidità civile.

Stando a quanto riferisce il quotidiano Repubblica, l’Inps avrebbe mezzo milione di contenziosi aperti con gli Italiani. Il costo di processi, ricorsi e rimborsi si aggira tra i 200 ed i 230 milioni di euro. Quattro volte su dieci l’Inps deve ammettere le proprie colpe in tribunale, perché i giudici gli danno torto.

Inps, i costi degli errori pesano sulle pensioni!

A denunciare gli alti costi degli errori dell’Inps ci ha pensato il Comitato di indirizzo e vigilanza dell’Ente, che ha messo in evidenza come

L’alto tasso di soccombenza impatta sul 10% delle spese di funzionamento dell’Inps, un livello altissimo, al punto da aver reso il fenomeno patologico.

Sembra abbastanza ovvio che qualcosa non stia funzionando nelle varie procedure di gestione delle pensioni. Giusto per avere un’idea di cosa stia accadendo, basti pensare che nel quadriennio 2017/2021 il 13% dei contenziosi tra l’Inps ed i contribuenti si sono chiusi a favore di questi ultimi. L’ente di previdenza ha dovuto ammettere la colpa e non è andata nemmeno a giudizio. Quindi sostanzialmente si sono risparmiate almeno parte delle spese legali. Aggiungiamoci, poi, un numero abbastanza preoccupante: il 40% dei casi, che arrivano davanti ad un giudice, si chiude a favore del contribuente che ha denunciato una qualche irregolarità. È a questo punto che il conto diventa realmente salato. Costi di gestione degli errori, che senza dubbio andranno a pesare sulle pensioni.

Pensioni d’invalidità: ci vuole troppo tempo per smaltirle!

A finire sotto la lente d’ingrandimento del Civ vi è anche un’altra pecca dell’Inps e che coinvolge le pensioni d’invalidità. Questo è un problema atavico, che purtroppo si è ulteriormente aggravato negli ultimi due anni a seguito dello scoppio della pandemia. Stando ai dati in possesso del Civ, al 31 ottobre 2021 sarebbero ancora 931mila le pratiche in giacenza, divise tra prime visite e revisioni. Quest’anno il dato è aumentato dell’11% rispetto a gennaio 2021. La parte più triste e drammatica è che i contribuenti non sono nemmeno a conoscenza delle tempistiche che l’Inps è tenuta a rispettare. In questo caso l’esortazione è abbastanza evidente: è necessario istituire una Carta dei Servizi che tuteli, nello specifico, gli interessi degli utenti. La Carta dovrà contenere, per ogni singola prestazione

modalità di accesso, tempi di erogazione, riconoscimento degli interessi per ritardata erogazione, termini di prescrizione e quelli per proporre un eventuale ricorso.

Questo servizio, che è stato introdotto a fine dicembre, per il momento non risulta ancora essere sufficiente. L’obiettivo finale deve ancora essere realizzato.

Inps, le pecche non finiscono qui!

Sostanzialmente i problemi e le pecche dell’Inps e del mondo delle pensioni sembra che non sia destinato a fermarsi qui. Una nota dolente è quella relativa alla scarsa trasparenza dei dati. Il Comitato, infatti, spiega che

sorprende e preoccupa il ritardo con cui si procede alla costruzione di un sistema accessibile di Open Data, l’unico in grado di mettere al riparo l’Inps da giudizi di parzialità, ascientificità, ingerenza su scelte politiche e sociali. Bisogna mettere a disposizione tutti i flussi e i dati per permettere a chi fa ricerca di costruire le proprie analisi.

Le critiche e le osservazioni all’Inps non finiscono qui. L’ente previdenziale dovrebbe continuare ad occuparsi di erogare le pensioni ed i vari sussidi, senza cadere in troppi errori. Ma soprattutto dovrebbe smaltire le pratiche in tempi relativamente umani, che non dovrebbero diventare biblici. Il riferimento è abbastanza evidente e si focalizza sulla cosiddetta Italia del noi, che ha portato ad impegnare significative risorse umane ed economiche, senza che l’utenza finale ne abbia tratto un evidente vantaggio. Il Civ colpisce ed affonda richiamando anche l’operazione Inps per tutti e segnalando il progetto dell’Accademia del Welfare, tanto ambizioso quanto opinabile. Secondo il Comitato sarebbe necessario

evitare di generare dubbi sulla neutralità dell’Inps rispetto alla politica con pericolose ingerenze nel dibattito e nei processi legislativi. Trasformare l’Inps in un indistinto Ente del Welfare è sbagliato.

Pensioni, arriva il taglio del 3%

Sapere dei problemi che angustiano l’Inps se da un lato fa sorridere, dall’altro giustamente preoccupa. Vengono sempre chiesti dei sacrifici ai lavoratori, che si trasformano in più anni lavoro prima di andare in pensione, o in assegni più bassi e l’Inps butta via i soldi dei contribuenti in spese legali per propri errori. Sì certo, se si risparmiassero quelle spese, non ci sarebbero risorse sufficienti per sanare il sistema previdenziale italiano, ma anche i funzionari dell’ente devono giocare una partita attiva ed evitare lo spreco di risorse economiche. Ma soprattutto dovrebbero evitare di tenere delle pratiche ferme per molto tempo, quando possono essere evase velocemente.

Nel frattempo non si ferma la riforma delle pensioni. Adesso arriva la proposta di dare la possibilità ai lavoratori di andare in pensione, ma con un taglio del 3% dell’assegno sulla quota retributiva per ogni anno d’anticipo rispetto al raggiungimento dell’età di vecchiaia. A proporre questa idea è Michele Reitano, membro della Commissione tecnica del Ministero del Lavoro, che starebbe anche studiando come separare l’assistenza dalla previdenza e avrebbe intenzione di tutelare le categorie di lavoratori più deboli.

Reitano spiega che

prendendo a riferimento unicamente le pensioni anticipate e di vecchiaia l’età di ritiro fra i dipendenti privati è attualmente pari a 64,1 e 63,2 anni, rispettivamente fra donne e uomini. Valori non dissimili (63,9 e 63,5 per donne e uomini) si osservano nel pubblico impiego, mentre l’età di pensionamento effettiva è lievemente più elevata (64,8 e 64,0) nelle gestioni autonome Inps.

Pierpaolo Molinengo
Pierpaolo Molinengo
Giornalista. Ho una laurea in Materie Letterarie, conseguita presso l'Università degli Studi di Torino. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin dal 2002, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, fisco, tasse e tributi, diritto, economia e finanza.
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