Come gestire un condominio: 4 regole dettate dalla legge!

Differenze tra condominio e comunione, quando serve un amministratore, quando ci vuole un regolamento, qual sono le parti comuni e a chi paga le spese.

Si fa presto a dire condominio. Ma poi che cosa è in effetti: ce lo immaginiamo come un palazzone dove ci sono tanti appartamenti di proprietà di persone diverse, che una volta al mese si trovano a casa dell’uno o dell’altro per litigare sulla pulizia delle scale, sul colore dello zerbino da mettere all’ingresso o della signora dell’ultimo piano che attira i gatti nel giardino lasciando acqua e crocchette.

In effetti anche questo è una parte della questione. Per condominio però non si intende solo il classico grattacielo, ma qualsiasi proprietà immobiliare della quale alcune sezioni siano di proprietà del singolo ed altre di tutti.

Una situazione del genere è particolare, perché prevede che quello che appartiene a tutti sia gestito e finanziato da tutti e che responsabilità anche verso il fisco e la pubblica amminsitrzione siano in capo a tutti.

Altra questione è quella della necessità di avere un amministratore, che costituisce un obbligo non legato tanto alle dimensioni dell’immobile o alla sua destinazione quanto piuttosto al numero dei proprietari.

Nel caso di piccole case molto frazionate, non è però imposto l’obbligo di ricorrere a un costoso professionista, ma basta che qualcuno si assuma l’onere di fare i conti relativi alle spese comuni e quello, forse ancora più gravoso, di fare da intermediario con gli altri.

Cosa è un condominio

Nel nostro ordinamento fino a pochi anni fa non esisteva né nel codice civile né nelle leggi speciali una definizione del termine condominio. È arrivata solo nel 2014, peraltro in una legge che non si occupa di gestire i rapporti tra i condomini, ma di efficienza energetica.

Il Decreto Legislativo numero 102 del 4 luglio 2014 lo definisce come

un edificio costituito da almeno due unità immobiliari che siano di proprietà esclusiva di persone fisiche o giuridiche che siano contemporaneamente comproprietarie anche delle parti comuni.

Da questa norma discende che qui dobbiamo avere un edificio, non un terreno, e che deve appartenere a più persone. Deve inoltre essere frazionato in modo che ognuno abbia dei diritti esclusivi su alcune porzioni dello stesso.

Devono poi esserci delle parti comuni che appartengono a tutti: tra queste parti rientrano il tetto, i locali caldaie, le scale, eventualmente il giardino e i viali di accesso, per fare degli esempi, ma poi ogni caso fa a sé e dipende sia dl modo in cui è strutturato il palazzo, sia dal modo in cui è stato frazionato da chi lo ha costruito.

Perché ci si trovi davanti a questa ipotesi è necessario che i proprietari siano almeno due e, lo ricordiamo, che i limiti dei diritti di ognuno dei due siano ben delineati. Se invece tutti fossero proprietari solo di una quota dell’edificio ma senza che questa sia definita in modo fisico ci si troverebbe di fronte a una comunione, che è gestita in modo diverso.

Possibile avere sia un condominio verticale che orizzontale, a seconda del fatto che si sviluppi in altezza, con appartamenti disposti su più piani, oppure in larghezza. In questa ipotesi rientrano per esempio le villette a schiera contenute dentro la stessa recinzione o distribuite nello stesso parco o giardino.

Si può parlare anche di supercondominio nell’ipotesi in cui ci siano più edifici, a loro volta suddivisi tra tanti proprietari, che per esempio hanno in comune alcuni servizi: per esempio un sistema unico di riscaldamento o la gestione unitaria dell’illuminazione dei viali di accesso.

Quali sono le parti indivise del condominio

Troviamo un elenco delle parti del condominio che appartengono a tutti i proprietari nell’articolo 1117 del codice civile che dice che

sono tutte quelle parti che sono necessarie all’uso comune e che lo sono anche nel caso si tratti di persone che abbiano un godimento solo periodico del bene e purché non risulti il contrario dal titolo.

La norma ci dice che alcune parti dell’edificio, come regola appartengono a tutti i condomini, anche nel caso si tratti di appartamenti in multiproprietà. Unica eccezione è il caso in cui l’atto di proprietà contenga un’indicazione diversa.

La legge ci fornisce anche un elenco di quali siano le parti comuni: sono il suolo dove sorge l’edificio, le fondamenta e i muri maestri, il tetto, i pilastri, le travi portanti, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, la facciata e i lastricati solari.

Sono inoltre aggiunte, le aree destinate a parcheggio comune, mentre sono di proprietà dei singoli i box o i parcheggi che possono essere usati solo da chi detiene uno degli appartamenti, i locali per la lavanderia, gli stenditoi e le parti del sottotetto che per le loro caratteristiche siano destinate a un uso comune. Se ci sono, fanno parte di questa categoria anche la portineria e l’alloggio assegnato al portiere.

Ultima categoria è quella delle infrastrutture e dei manufatti che hanno lo scopo di consentire una migliore fruizione degli appartamenti. Ne fanno parte gli ascensori gli impianti idrici e fognari, i sistemi di distribuzione centralizzato di gas, energia elettrica e calore.

Inoltre i sistemi di condizionamento, quelli per la ricezione della televisione o di qualsiasi altro flusso di informazioni. La comproprietà in questo caso si ferma sulla porta di casa di ogni singola unità. Ogni utente è unico proprietario e gestore degli impianti che entrano in casa sua.

Come va gestito un condominio

Vedremo di seguito in quali cassi la legge impone a un condominio di dotarsi di un amministratore che oltre a fare da intermediario tra i proprietari si occupa sia della gestione sia ordinaria che straordinaria. 

Mentre ognuno dei condomini pur nel rispetto della legge e di eventuali regolamenti presenti nell’edifico può fare sostanzialmente ciò che vuole con le parti di cui è detentore unico, devono essere gestite in accordo le parti comuni e devono essere sostenute le spese in proporzione alle quote che si posseggono.

La legge autorizza nei casi di edifici di piccole dimensioni di gestirsi in autonomia. In genere la scelta è quella di affidare a uno dei condomini il compito di occuparsi delle pratiche a nome di tutti, secondo le indicazioni che gli sono state fornite in sede di assemblea.

Nella normalità dei casi si tratterà solo di gestire le spese ordinarie: illuminazione delle scale, eventuale stipendio a chi si occupa di pulire la parti comuni, oppure gestione della turnazione se è fatto dagli stessi proprietari.

In definitiva qualcuno dovrà assumersi l’onere di pagare le bollette dopo avere raccolto tutte le quote, o di trovare qualcuno che si occupi di cambiare lampadine, oliare porte che cigolano, far fare la manutenzione annuale delle caldaie eccetera.

Un condominio deve sempre avere un proprio codice fiscale, diverso da quello dei condomini e sarà assoggettato a degli obblighi fiscali né più né meno che qualsiasi altro privato. Quindi dovrà farsi rilasciare per i lavori di cui ha necessità, di una fattura intestata non ai singoli, ma all’intero edificio.

Si tratta poi di un sostituto di imposta e come tale deve versare la ritenuta di acconto per il portiere o per gli altri lavoratori che gli forniscano delle prestazioni, e deve fare compilare quando è il momento il modello 770.

Quando il condominio deve avere un amministratore

Quanto detto sopra vale in linea generale per tutti i condomini, indipendentemente dalle dimensioni e dal numero di proprietati che ne fanno parte. La legge, però tenuto conto di quanto possa essere complesso gestire edifici di grosse dimensioni, ha stabilito che in alcuni casi sia necessario avere un amministratore e un regolamento.

L’articolo 1129 del codice civile

stabilisce che quando i condomini siano più di otto e l’assemblea non provveda in merito, l’amministratore è nominato d’ufficio dall’autorità giudiziaria a seguito di richiesta di uno o più proprietari o dell’amministratore dimissionario.

Vediamo che si tratta di un obbligo, ma che la nomina d’ufficio viene fatta solo nel caso sia uno degli interessati che ne fa richiesta. Di fatto, quindi se tutto scorre liscio è possibile gestirsi da soli. Per quanto riguarda chi possa avere questa funzione non ci sono delle indicazioni precise da parte della legge.

Non esiste al momento un albo, a cui sia obbligatorio iscriversi, ma solo alcune associazioni di categorie che si occupano della formazione e dell’assistenza ai propri iscritti ma l’adesione alle quali è del tutto facoltativa.

Possibile quindi che questa funzione sia affidata in modo formale a uno dei proprietari, tenendo conto che pur non dovendo avere un titolo di studio specifico dovrebbe avere almeno delle competenze minime in materia fiscale e amministrativa.

Per tutti i condomini con più di dieci membri è obbligatorio, per legge, anche dotarsi di un regolamento. Si tratta di una specie di statuto dove sono fissate le regole che permetteranno in seguito di avere meno problemi di convivenza.

Il documento deve essere approvato dall’assemblea e deve contenere le regole per l’utilizzo degli spazi comuni, il modo in cui saranno divise le spese, regole sul decoro, sul possesso di animali, o quanto i condomini ritengano vada concordato da tutti.

Come suddividere le spese del condominio

Con spese di condominio si intendono quelle che sono legate agli spazi comuni, mentre quelle dei singoli appartamenti sono gestite in autonomia da ognuno. Comprendono sia quelle ordinarie che riguardano la normale gestione, sia quelle straordinarie che derivano da interventi urgenti o una tantum.

La ripartizione, cioè quanto deve pagare ogni condomino deve essere approvata dall’assemblea, e in genere è fatta sulla base delle regole stabilite nel regolamento. Se questo è assente o se non si occupa di tutte o alcune spese le regole generali sono dettate del codice civile.

L’articolo 1123 del codice civile dice che

le spese per le parti comuni devono essere sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà. Se l’uso fatto è diverso devono essere divise in base al beneficio che ognuno ne trae.

Il primo criterio sono le dimensioni o il valore effettivo del proprio appartamento: più spazio si occupa più si paga. Ma si deve tenere conto anche dell’effettivo uso fatto da un servizio: chi abita al piano terreno non pagherà scale e ascensore allo stesso modo di chi vive all’attico.

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