Aumentano le dimissioni volontarie, soprattutto tra under 35

Le dimissioni volontarie stanno continuando ad aumentare sempre più, soprattutto tra i giovanissimi neodiplomati e neolaureati.

La tendenza negativa partita nel periodo della pandemia di coronavirus pare non voglia decelerare, anzi, le dimissioni volontarie stanno continuando ad aumentare sempre più, soprattutto tra i giovanissimi neodiplomati e neolaureati. 

Si pensi che i numeri pubblicati dallo stesso Ministero del Lavoro, in riferimento al secondo trimestre del 2021 hanno registrato delle vere e proprie crescite record di dimissioni tra i lavoratori dipendenti, toccando quota 500 mila. 

Di questi 500 mila licenziamenti la maggioranza riguarda gli uomini con oltre 290 mila dimissioni, mentre le donne si fermano a 190 mila. Il secondo dato preoccupante riguarda la fascia di età di questi soggetti. La maggior parte, infatti, riguarda dei giovanissimi lavoratori tra i 25 e i 35 anni, in particolare gli impiegati del Nord Italia. 

Andiamo a vedere insieme quali sono le principali motivazioni che spingono i giovani a rassegnare le dimissioni

Dimissioni volontarie, i giovani italiani vogliono un aumento degli stipendi

Le nuove generazioni non si accontentano di un posto di lavoro sicuro, magari vicino alla propria residenza, con uno stipendio di base. 

Sono soprattutto i più giovani, infatti, i soggetti che hanno dato rassegnato più dimissioni in quest’ultimo periodo. Perché? Le motivazioni sono molteplici:

  • la prima è sicuramente la retribuzione. Parliamoci chiaro, nessuno lavora per la gloria, soprattutto in quest’ultimo periodo in cui si sono registrati – con lo scoppio della guerra in Ucraina – fortissimi aumenti dei prezzi dei generi alimentari, come grano, pasta, cereali, prodotti di pasticceria, latticini, carni, oltre che benzina e gas. 

Inoltre, con l’inflazione al galoppo in tutta Europa, i salari sono cresciuti del 3 % – secondo l’economista della Banca Centrale Europea, Philip Lane – ovunque, tranne che in Italia. Insomma, la vita è più cara, ma gli stipendi sono rimasti gli stessi di sempre.

Per non parlare di chi punta al ribasso! Quante volte, scorrendo fra gli annunci di lavoro in rete abbiamo visto posizioni per cui si richiedeva esperienza, un titolo di studio, magari una o due lingue extra oltre l’italiano, una disponibilità full time, per solo 800 € al mese? Troppe. 

I giovani italiani ricercano un equilibrio fra vita privata e lavorativa

  • La seconda motivazione è l’equilibrio, o meglio, l’integrazione fra la propria professione e la vita privata. Come? Ormai, dopo la pandemia di coronavirus che ha costretto all’home office moltissimi lavoratori, il modo di lavorare è cambiato. 

I lavoratori, infatti, hanno imparato ad organizzarsi le giornate in maniera differente e, soprattutto i giovani, non vogliono più recludersi nelle quattro mura dell’ufficio per cinque giorni alla settimana. La soluzione, dunque, è lo smart working o l’hybrid working: il lavoro totalmente, o parzialmente, da remoto. 

Nel primo caso, infatti, lo smart working consente al dipendente di lavorare al 100 % da remoto, favorendo anche quel fenomeno chiamato South Working:

“un progetto di promozione sociale che stimola e studia il fenomeno del lavoro agile da una sede diversa da quella del datore di lavoro o dell’azienda, in particolare dal Sud Italia e dalle aree marginalizzate.”

Nel secondo, invece, le ore di lavoro passate in ufficio si alternano a quelle da remoto. Se siete interessati all’hybrid working vi consiglio di leggere questo articolo: Lavoro Ibrido: meno costi per aziende e dipendenti felici!

Insomma, stipendi più elevati e miglior bilanciamento fra vita professionale e lavorativa sono state le motivazioni portanti di questo drastico aumento delle dimissioni volontarie tra i giovani che, a fine 2021, rispetto al medesimo arco temporale del 2020, ha portato a un + 85 %. 

Dimissioni volontarie tra giovani, addio alla cultura del sacrificio

Possiamo affermare con certezza che la pandemia di coronavirus scoppiata nel 2020 è stata un vero e proprio spartiacque nel mondo del lavoro. Se fino a marzo 2020 in Italia era presente una fortissima cultura del sacrificio, da marzo 2020 fino ad oggi questo modo di lavorare è stato abbandonato.

Le persone, in particolare i giovani italiani, cercano condizioni lavorative migliori tanto da arrivare a preferire periodi di disoccupazione, rimanendo senza lavoro, pur di trovare un lavoro in linea con i propri ideali.

Il motore di questo nuovo movimento è stato sicuramente lo smart working, che ha cambiato abitudini ed esigenze dei lavoratori. Ritornare in ufficio, dopo quasi due anni di home office ha sicuramente provocato un forte stress che ha spinto le persone a cercare nuovi impieghi.

Ormai, infatti, i più giovani vogliono sapere già al momento del colloquio come svolgeranno quello che sarà il loro futuro impiego e con quale retribuzione. Semplice da capire: possibilità di smart working e stipendio dignitoso.

C’è da aggiungere, però, che molti, moltissimi datori di lavoro tendono ad approfittarsi della giovane età dei lavoratori, proponendo condizioni di lavoro poco vantaggiose, per impieghi – molte volte – non all’altezza dei loro studi e delle loro capacità. 

Rendiamo più semplice il concetto: se da un lato non c’è una vera e propria propensione all’adattamento – criticata soprattutto dagli over – dall’altro lato c’è una forte propensione allo sfruttamento. Conseguenza? Le dimissioni.  

Dimissioni volontarie, parliamo con i numeri alla mano

Analizzando i dati relativi all’anno passato, più della metà delle aziende, il 60 %, è stata travolta dal boom di dimissioni volontarie. In particolare, la stragrande maggioranza con il 75 % è stata colta alla sprovvista. 

Non sorprende che le dimissioni volontarie non riguardino unicamente i più giovani tra i 25 e i 35 anni, ma anche i lavoratori fra i 35 e i 45 anni. 

Questa tendenza ha preso piede agli albori del 2021 negli Stati Uniti e sta continuando a registrare numeri significativi anche nel nostro Paese. 

Alcuni lavoratori, infatti, fanno dei veri e propri ‘salti’ da un posto di lavoro ad un altro, rimanendo all’interno di un’impresa per poco tempo. Anche questo fenomeno ha un nome e si chiama Job Hopping

In poche parole, quando un giovane lavoratore riesce a trovare un impiego stabile, ma non viene valorizzato nel migliore dei modi – sia a livello professionale, che a livello remunerativo – questo vuole cercare di meglio. 

Questa insoddisfazione lo porterà a rassegnare le dimissioni per cercare un altro impiego che potrebbe fare al caso suo, sia dal punto di vista professionale (es. la crescita o l’esperienza) sia a livello economico (con un compenso adeguato).

Vogliono cambiare lavoro soprattutto le donne italiane

Una recente analisi effettuata dall’applicazione AppLavoro.it ha messo in evidenza come siano molte più donne, rispetto agli uomini, le persone con una occupazione attiva che sono in cerca di un nuovo lavoro, con una percentuale pari al 65%.

Le imprese, in questo modo, devono impegnarsi costantemente a cercare nuovi lavoratori da inserire nell’organico, per garantire un giusto ricambio del personale, anche se molto spesso non risulta semplice trovare i profili più adeguati per le posizioni rimaste scoperte.

C’è poi da dire che un continuo via vai di lavoratori è un costo notevole per l’azienda. Considerando che in media una new entry in azienda inizia ad essere produttiva dopo circa sei mesi, un giovane che lascia il proprio posto di lavoro dopo appena un anno dall’ingresso è stato produttivo per un periodo molto breve e, forse, ha portato più costi che ricavi, considerando anche la formazione e le tempistiche per l’inserimento.

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