I videogiochi possono essere un mezzo di studio: lo dice anche una ricerca australiana

Per anni criticati, oggi i videogiochi possono diventare un buon mezzo di studio se sfruttati a dovere: lo dice una nuova ricerca dall'Australia.

Il mondo del videogioco è oggi ricco e complesso. Decenni di evoluzione gli hanno donato esperienza, profondità, tecnica. E forse non è mai stato vero che facciano male, rendano pigri o addirittura stupidi. Dall’altra parte del mondo arriva infatti un’opinione del tutto contraria: i videogiochi possono diventare un ottimo mezzo di studio – se usati nel modo corretto, naturalmente.

In questo articolo riportiamo le domande e risposte più chieste dalla nostra comunità.

Sommario:

  1. 1.

    Le potenzialità dei videogiochi sono sempre più riconosciute

  2. 2.

    I videogiochi per studiare: cosa dice la ricerca condotta tra i docenti australiani

  3. 3.

    I videogiochi come mezzo di studio: la situazione attuale

  4. 4.

    Quanto guadagna un designer di videogiochi?

  5. 5.

    Qual è la migliore azienda di videogiochi?

Le potenzialità dei videogiochi sono sempre più riconosciute

I videogame sono stati oggetto di polemica per molti anni e spesso lo sono ancora. Abbiamo assistito a tante accuse e demonizzazioni, tra cui la classica frase secondo cui tutti i videogame renderebbero violenti o stupidi.

Vi è naturalmente un fondo di verità. La dipendenza da videogiochi soprattutto negli adolescenti esiste eccome e mostra sintomi da vera dipendenza. Ma come tante altre, sopraggiunge soprattutto a causa degli eccessi, dell’isolamento, dell’abbandono, del mancato supporto. E dipende anche dal gioco in questione.

Come tutte le attività, quando se ne abusa o si sfruttano in modo sbagliato, crea danni. Ma è stato ormai smentito che il gaming sia negativo “in generale”. Sia dall’Inghilterra sia dall’Italia arriva la smentita sui videogiochi che fanno male ai bambini: anzi, sembra proprio il contrario, possono fare molto bene.

Recenti ricerche molto accreditate, come quelle dell’Università di Oxford e del Cremit dell’Università Cattolica, riconoscono ai videogame dei benefici elevatissimi per i giovani. Un gioco ben fatto e ben giocato migliora la creatività e il pensiero critico, allena parecchie abilità visive e manuali, stimola il gioco di squadra e la lealtà e soprattutto aiuta a migliorare le relazioni sociali.

È emblematico poi il caso dei videogiochi che hanno aiutato una bambina malata di anemia falciforme a superare i dolori delle faticose cure, grazie al gioco con gli amici. Il videogame oggi è una realtà eccezionale, da usare di certo nei modi corretti e non indiscriminatamente. In questo modo, può rivelarsi un’importante risorsa. E ora, a sorpresa, può esserlo anche nel campo dell’istruzione.

I videogiochi per studiare: cosa dice la ricerca condotta tra i docenti australiani

Una nuova ricerca arriva dall’altra parte del mondo, realizzata dagli esperti del The Conversation di Melbourne. Per redigerla, sono stati intervistati gli insegnanti di inglese di ben 201 scuole superiori dell’Australia, di cui oltre il 60% è attivo nell’insegnamento da almeno dieci anni.

Innanzitutto, secondo gli esperti, dalla prospettiva di un insegnante di inglese molti videogiochi possiedono un copione narrativo complesso e un importante sviluppo dei personaggi nella storia. Questi elementi richiedono ai giocatori uno sforzo mentale per comprendere i contesti culturali e applicarli. Si cita l’esempio della saga “The Legend of Zelda”, ricca di trame profonde e grandi backstory.

Si passa quindi ai risultati della ricerca. Il 58,6% degli intervistati, cioè oltre la metà, ritiene che i videogiochi siano un mezzo di studio legittimo, cioè che potrebbero essere utilizzati nei programmi di lingua inglese insieme ad altri libri di testo e mezzi di studio. Il 27,4% ha risposto di essere incerto a riguardo e solo il 14% ritiene che non siano un buon mezzo di studio.

Un buon 30%, a sorpresa, credeva che i videogiochi fossero menzionati e valutati nei curriculum australiani (molto attenti alla multimodalità). Non è in realtà così, ma l’impatto del videogioco ha dato loro questa sensazione.

I videogiochi come mezzo di studio: la situazione attuale

Nonostante tutte queste opinioni siano incoraggianti, non significa che i giochi siano già diffusi per questo scopo. L’85% non ha mai usato i videogames come materiale di studio in classe e il 74% non ha comunque intenzione di farlo.

Secondo la ricerca, però, gli insegnanti con meno esperienza (quindi più giovani) sono più propensi a provare. Inoltre, anche se l’80% non ha ricevuto alcun insegnamento su come usare i giochi digitali, il 60% ha letto articoli o libri a riguardo, in modo completamente indipendente. Insomma, c’è interesse e la stima cresce.

Alcuni insegnanti, intervistati con domande aperte, hanno menzionato come i videogiochi siano altamente in grado di coinvolgere gli studenti, cosa non facile usando solo i mezzi tradizionali. Inoltre, grazie alle loro nature complesse, questi giochi possono essere più immersivi dei soli testi classici.

Non c’è ancora unanimità, ovviamente. Ci sono stati anche insegnanti molto opposti ai videogame, definendo le loro storie “mancanti di ogni spunto emotivo e creativo”. Attendiamo se in futuro arriveranno indicazioni didattiche che aiutino a sfruttarli e, nel frattempo, guardiamoli sempre con occhio critico e senza pregiudizi.

Quanto guadagna un designer di videogiochi?

Se sei un appassionato di videogames a tal punto da voler lavorare nel settore, forse ti è utile conoscere indicativamente quali sono le paghe nel nostro Paese.

In Italia lo stipendio medio come game designer è di circa 27.250 euro all’anno. La remunerazione mensile si aggira in media intorno ai 1.750 euro.

Qual è la migliore azienda di videogiochi?

L’azienda cinese Tencent resta la numero uno al mondo nel settore dei videogiochi. I ricavi dei giochi di Tencent sono cresciuti del +9,9%, ricavando nel 2021 la cifra di 32,2 miliardi di dollari.

Ivan Cunzolo
Ivan Cunzolo
Copywriter e SEO Web Writer freelance, classe 1993. Sono nato e vivo a Napoli, amando la mia città. Sin da piccolo ho sempre scritto senza fermarmi mai, prima sulla carta, poi al computer. Al desiderio di diventare giornalista ho unito il nascente interesse per marketing e tecnologie. Mentre iniziavo con tonnellate di articoli in progetti sul web di pura passione, mi sono laureato in Culture Digitali e della Comunicazione alla Facoltà di Sociologia dell'Università Federico II. Da 6 anni sono Copywriter e Web Writer freelance, specializzato nella scrittura SEO.
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