Legge di bilancio 2022: dove si spende, dove si risparmia!

Nelle scorse ore il Parlamento ha approvato definitivamente la Finanziaria per il 2022. Il governo Draghi, tra PNRR e Recovery Plan, decreta le voci di spesa.

Con una delle snelle discussioni parlamentari cui ci siamo abituati (o su cui ci siamo assopiti?), pochi giorni fa il Senato ha approvato in via preventiva la legge di bilancio 2022. Proprio quella che, dopo tanti anni di austerity, politiche di risparmio e rubinetti da chiudere, ci darà finalmente l’ok a spendere.

Una parabola tecnocratica non da poco, insomma, inframmezzata da larghe intese della più varia sorta – le stesse, grosso modo, che hanno sostenuto i governi MontiLettaRenziDraghi

Ma dove andranno a finire i fondi europei del Recovery Fund e di Next Generation EU che sono stati stanziati dalla Commissione Europea per finanziare il PNRR dell’Italia? E che articolazione reale avranno i piani di spesa abbozzati nel documento approvato dall’Unione Europea?

Come si ricorderà, esso prevedeva diverse missioni – sei, per la precisione – che avrebbero costituito le linee guida per l’investimento di detti fondi europei; le missioni in questione sono:

  • Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo;
  • Rivoluzione verde e transizione ecologica;
  • Infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  • Istruzione e ricerca;
  • Inclusione e coesione;
  • Salute.

La scelta è stata poi lasciata ai singoli Stati: lo strumento per spendere effettivamente questi soldi sono (per tutti) le riforme strutturali, mentre gli ultimi destinatari di questa grossa iniezione di denaro pubblico possono essere il welfare di Stato o incentivi ad aziende private incaricate di rimettere in moto l’economia solleticando il desiderio di spesa dei cittadini.

E indovinate un po’ da che lato si è schierato l’esecutivo Draghi

L’iter parlamentare

Ma prima di dare un’occhiata alle vere e proprie voci di spesa comparate tra PNRR Finanziaria 2022, sarà forse utile porre rapidamente l’accento sulla curiosa vicissitudine parlamentare, anzi di governo, della Legge di bilancio – curiosa nei limiti di una realtà che ci racconta, impietosa, l’ostruzione pressoché definitiva di qualunque spazio di dibattito parlamentare e di discussione democratica.

Non è una novità che il ‘Governo dei Migliori’ (ma non si era detto lo stesso di Monti? Allora basta che sia un governo non politico!) sia convenuto decisamente a chiunque, perfino a quelle poche forze di opposizione, tutt’altro che sparute, che ne hanno approfittato per riorganizzarsi e risalire nei sondaggi già mesi fa!

E non è una novità nemmeno il fatto che i temi d’interesse civile abbiano continuato a essere oggetto di dibattito e di contrattazione politica – perlopiù a ribasso – mentre su quelli di argomento economico, tra cui la stessa Finanziaria, siano filati lisci come l’olio in totale armonia di quasi tutte le forze parlamentari.

In tempi record, infatti, la manovra è stata approvata prima dal Senato, poi dalla Camera, e nel giro di pochi giorni la procedura è stata archiviata; inutile dire che le percentuali di parlamentari contrari sono state risicatissime, forse un po’ meno inutile far notare che anche agli emendamenti sono state spezzate le gambe: più della metà di essi, 203 dei circa 400, è stata dichiarata inammissibile!

Tutto normale, insomma? Possibile che così poco dibattito ci sia stato, tra i banchi del Governo, di così multiforme estrazione politica, e nelle aule parlamentari?

A quanto pare sì: troppo conviene a tutti rimanere dalla parte giusta della storia, quella di chi epicamente, con un contributo europeo solo in parte a fondo perduto, ha risanato le casse del Paese e avviato la ripartenza dell’economia.

Peccato che molte delle previsioni del PNRR di Draghi, che apparentemente poco si discostava da quello di Conte, a sua volta approvato dalla Commissione Europea, siano state disattese o abbiano finito per riversarsi sul piatto ‘privato’ della bilancia invece che, com’era logico che fosse, su quello pubblico. Ma ci sarà modo di tornare su questo in seguito.

Per il momento, rimane forse da segnalare un curioso tentativo, da parte dei partiti sostenitori del governo Conte-bis, di recuperare la guida di una maggioranza governativa dopo aver venduto per trenta denari la precedente a Confindustria.

Salvare il salvabile, quindi? L’idolo delle aziende, dei mercati e della stampa Mario Draghi diventa Presidente della Repubblica e in cambio la maggioranza si fa politica rimuovendo, oltre all’ipotesi (agghiacciante) di Berlusconi Capo di Stato, anche le componenti dell’attuale maggioranza che lo sosterrebbero – cioè LegaForza Italia e…?

Plausibile come ipotesi per salvare la faccia ed evitare di dichiarare senza veli che gli ultimi sei mesi sono stati difficilmente definibili democratici; peccato, anche in questo caso, che, anche se sarà (i numeri dove sarebbero?), si tratti sempre di democrazia apparente, o dell’insolita situazione pionieristica in cui un governo indica la strada ai suoi successori, come se essi non fossero, almeno in teoria, espressione indiretta della sovranità popolare

I fondi del PNRR e le misure della Finanziaria: un confronto

Dunque c’è coincidenza tra il contenuto del PNRR, dichiarazione d’intenti del governo Draghi, e la Finanziaria 2022, ‘battesimo’ della sua applicazione concreta? O meglio, in che modo si articoleranno le missioni previste dal PNRR e come verranno distribuiti i fondi europei corrisposti? Scopriamolo insieme!

Una preventiva nota di metodo: possono stare a margine di questa discussione, per motivi di spazio principalmente, ma anche per non mettere troppa carne a cuocere, le riforme stutturali, o trasversali, che il PNRR prevede ma ‘scolla’ dalle sei missioni: Pubblica Amministrazione, GiustiziaSemplificazione e Concorrenza e altre riforme di accompagnamento.

I fondi previsti per queste ultime sono in realtà inseriti anche nella legge di bilancio, ma una loro associazione all’improvvisa espansione della spesa pubblica ex-Recovery Fund non sarebbe del tutto corretta, anche dal momento che esse sono (solo teoricamente) in programma da ben prima della chiusura dell’accordo su NGEU.

La più discussa tra le misure previste in manovra è certamente la riduzione, da cinque a quattro, degli scaglioni di aliquota IRPEF: la tassa sulle persone fisiche, infatti, è stata modificata in questo modo, con conseguente aumento della tassazione per i redditi più bassi – e questo, come vedremo anche in seguito, ha generato polemiche.

Stendendo un pietoso velo su come quotidiani d’informazione mainstream hanno proposto la notizia, e cioè distorcendola e mentendo fino a correzione addirittura dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, non è chiarissimo a quale missione del PNRR farebbe capo tale presa di posizione degna di Robin Hood – di certo, evidentemente, non a quella dell’Inclusione – ma andiamo avanti.

Seguono altre misure di natura fiscale, relative perlopiù allo slittamento di varie scadenze e alle cartelle esattoriali, il rinvio al 2023 della plastic tax e della sugar tax (Transizione Ecologica, certo, ma mica dobbiamo cominciare per forza in questo preciso istante!), il mantenimento del reddito di cittadinanza e del bonus Renzi (riconducibili, questi sì in positivo, alla missione d’Inclusione sociale).

Un’altra nota positiva è l’annunciata lotta alle delocalizzazioni, una piaga che ha funestato il tessuto produttivo e industriale di questo Paese per troppi anni senz’alcun contrasto, e che oggi sembra aver toccato gli animi di chi dovrebbe occuparsi (anche) di dignità del lavoro

Resta dubbia l’efficacia delle misure previste (preavviso dell’azienda al Ministero del Lavoro, organizzazione di un piano aziendale per far fronte ai licenziamenti) nel caso in cui l’azienda sia una multinazionale, quando esse già notoriamente godono di un trattamento privilegiato in Europa, ma in fondo è già qualcosa…

Una volta avviatici alla parte finale del documento, dopo la precisazione delle quote, decisamente inique, destinate all’assunzione nel pubblico e agli incentivi alle imprese, arrivano gli altri due temi molto caldi, al centro del dibattito non parlamentare (figurarsi…) ma sociale: il Superbonus e il rincaro delle bollette.

La guerra dei bonus!

La legge di bilancio ’22, anomala, come dicevamo, per la principale ragione che all’improvviso piove denaro dal cielo e lo dobbiamo spendere, ha articolato i benefici da distribuire alla popolazione perlopiù in termini di bonus.

L’elenco completo dei bonus in questione è facile da trovare online, così come tanti agili e preziosi consigli sul modo migliore di usufruirne – nel video dell’ingegnere Marcello Contu qui proposto, ad esempio, ci sono alcuni interessanti suggerimenti – ma è certamente un buon esercizio quello di scorrerli e ricollegarli, ancora una volta, alle missioni che l’Europa ci ha affidato.

Molti dei bonus, si noterà già a un primo colpo d’occhio, vanno in direzione di un rinnovamento degli impianti energetici, perlopiù privati (di abitazioni private): impianti fotovoltaicirubinetti et similia andrebbero rinnovati effettivamente in molti immobili, e la possibilità del bonus consente a un tempo di sostenere una spesa per molti altrimenti inaffrontabile e di migliorare un po’ su tutto il suolo nazionale l’efficienza energetica diffusa, con conseguente avvio (piuttosto timido, a dire il vero) della transizione ecologica.

Se vi pare che questo confligga con le ultime, criptiche e contraddittorie dichiarazioni del ministro Roberto Cingolani, non preoccupatevi, non è a voi che sfugge qualcosa, è che proprio non si capisce che cosa voleva dire. Ma andiamo avanti.

Molti altri bonus, come quelli destinati alle aree colpite da sismi, sono sacrosanti – a maggior ragione in un Paese che storicamente ci mette decenni a ricostruire le zone terremotate – mentre di altri sfugge l’urgenza: davvero era così necessario riaggiornare per l’ennesima volta il digitale terrestre e costringere migliaia di persone a rottamare il televisore e a comprarne un altro?

Anzi, più precisamente ancora, davvero era prioritario rispetto, ad esempio, al bonus psicologo, emendamento bipartisan spazzato via senza pietà dal testo della legge? In barba alla dichiarata missione (la sesta, da PNRR) di migliorare la Sanità e in barba alla necessità, tanto più urgente in questi anni di pandemia, di abbattere svariati pregiudizi tossici legati alla cura della salute mentale?

Il resto del bilancio – Pubblico e privato, chi la spunta?

Le ragioni di conflitto sociale, in potenza, esistono eccome in questo testo di legge: già la contrazione delle aliquote IRPEF e il rincaro delle bollette sono stati oggetto di contestazione sindacale e del primo sciopero generale degli ultimi anni, potremmo dire decenni se non contiamo il ridicolo pseudo-sciopero del 2014 Jobs Act già approvato.

Benché non si sia trattato propriamente di ragioni inerenti alle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, è comunque un indizio molto importante del fatto che, nell’inerzia dell’intero Parlamento di fronte a gravi manifestazioni d’iniquità sociale, almeno i sindacati si muovono, a mo’ di anticorpi peraltro di scarso successo, almeno finora…

Tuttavia, anche solo leggendo a volo d’uccello le misure previste dalla Finanziaria per i vari settori occupazionali e per le varie figure lavorative impiegate, le ragioni per cui un sindacato dovrebbe storcere il naso non mancano di certo!

Appena 250 milioni di euro previsti per le assunzioni nel pubblico, con buona pace di concorsi, come quello per la scuola, per fare solo un esempio, che vanno avanti a rilento in uno stillicidio apparentemente ancora lungi dall’avere fine malgrado i 200 milioni che la manovra destina alla scuola (e malgrado la voce Istruzione e Ricerca tra le sei missioni fondamentali del PNRR).

Su questo c’è già stato, lo scorso 10 dicembre, uno sciopero della scuola, a onore del vero.

Un settore, quello della scuola pubblica, spesso bistrattato, negli ultimi anni, in termini di considerazione sociale e soprattutto progressivamente definanziato dai governi, di ogni colore, della Seconda Repubblica, ma questo è forse un primo e felice segnale positivo di rilancio. Non sprechiamolo!

Ancora: solo 250 milioni di euro destinati alle assunzioni nel pubblico più altri 360 milioni di finanziamento accessorio, ma ben 3 miliardi che rimpolperanno il Fondo di garanzia PMI per l’internazionalizzazione delle imprese (alla faccia del piano anti-delocalizzazione).

E ancora: briciole e rinvii vari per tutto ciò che evidentemente non è considerato prioritario dalla classe dirigente attuale, come il Terzo Settore, lo Spettacolo, i tirocini, le politiche giovanili e la parità di genere.

Non mancano gli aspetti positivi: fondi per migliorare o regolamentare la condizione abitativa di chi vive in stabili occupati1,8 miliardi di euro per far ripartire la sanità pubblica e piccoli tagli contributivi per i redditi più bassi sono effettivamente presenti nella Finanziaria, assieme a contributi previsti per gli enti locali, che però probabilmente andranno tutti nella direzione di una stretta di privatizzazioni.

Non tutto si può prevedere, non tutto si può condividere. Intanto dei soldi sono arrivati, e già non dover ascoltare il refrain delle manovre lacrime&sangue è una bella novità.

E il Parlamento? La tenuta democratica ai tempi di Draghi, o del capitalismo post-pandemico

Tutto è bene quel che finisce bene, dunque? Quasi. Perché mentre la coperta dei conti pubblici torna ad allungarsi e promette, almeno in potenza, almeno a parole, di bastare a tutto e a tutti, la coperta della democrazia, anzi della tenuta democratica del Paese, si accorcia paurosamente, e sta lasciando nudo tutto il popolo, non solo il re e la sua classe dirigente!

Si è già detto nelle righe precedenti che è anomalo un governo sostenuto da ben più della metà delle forze parlamentari, osteggiato principalmente da partiti che hanno visibili e meschini tornaconti dietro questa scelta.

La storia recente d’Italia non manca di tentativi, più o meno riusciti ed eterodiretti, di strozzare la discussione democratica per fare posto alla rapidità, all’efficienza e alla stabilità. Per ridurre, insomma, sempre più il potere del Parlamento in favore di quello del Governo.

L’uso sempre più smodato di Decreti Legge e di procedimenti legislativi teoricamente straordinari, tagliole e ghigliottine, ne è un esempio informale; le riforme costituzionali proposte ai cittadini per via referendaria lo sono un po’ meno.

La riforma costituzionale Renzi-Boschi del 2016, che fu affossata dall’elettorato con solo il 40% di voti favorevoli, era fortemente sponsorizzata da Standard & Poor’s, che arrivò a minacciare maretta sui mercati in caso di sconfitta del , immischiandosi, per fortuna senza risultato, negli affari di un Paese sovrano.

La riforma che eliminava il Senato sostituendolo con Dio sa che cosa (era anche scritta piuttosto male) fu inappellabilmente bocciata, ma siccome la perfezione non esiste, il referendum mancò di raggiungere quell’altro risultato…

Anche la riforma costituzionale messa a quesito referendario nel 2020 come baluardo storico delle rivendicazioni a Cinque Stelle, e che, purtroppo, è stata invece approvata dai cittadini sebbene con un’affluenza imbarazzante (poco più del 50%), andava, più o meno consapevole, nella stessa direzione, restringendo il numero di parlamentari e con esso lo spazio della discussione democratica, specie per le minoranze politiche.

Adesso, dalla formazione del governo Draghi, con i suoi numeri mostruosi, in avanti, è stata evidente la riduzione del Parlamento ad afono passacarte degli interessi finanziari delle classi dominanti – imprenditoria e banche di cui l’Unione Europea sembra molto presa a tutelare gli interessi a costo di sacrificare le gloriose Costituzioni antifasciste dell’Europa meridionale, troppo democratiche per convivere con l’incalzare dei mercati.

L’elezione di Draghi a Presidente della Repubblica non sarebbe che un altro passo in questa direzione funesta. Non l’unico, non il primo, speriamo l’ultimo.

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