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Bonus Terme 2022: proroga per Invitalia? Ecco cosa succede

Il Bonus terme 2022 si farà.

O meglio si spera si faccia, visto che si parla di un buono per l’accesso alle strutture termali o di acque minerali terapeutiche che, in soli due giorni, ha fatto il botto sia in numero di vendite, sia in termini di server, dato che ha fatto saltare i servizi online di Invitalia, come segnala Il Corriere.

Per avere una migliore panoramica, ti suggerisco questo video approfondimento a cura di Luca Dicio.

Il bonus Terme però non è chiaro se avrà questa proroga per il 2022. Anche per questo buono, come accaduto per quello Vacanze, è richiesta una proroga governativa, anche in fatto di rifinanziamento, visto che il precedente fondo è stato completamente svuotato.

Ma non sarà facile, visto che, sia l’aggravarsi dei casi Covid, sia la situazione alquanto instabile da un punto di vista economico (causa caro bollette e inflazione galoppante) e istituzionale (l’imminente elezione del Presidente della Repubblica), potrebbero mettere in secondo piano questo bonus.

Intanto facciamo il punto della situazione sul bonus Terme, e cosa potrebbe succedere in caso di proroga.

Bonus Terme 2022: ecco come funzionava nel 2021

Fino al 2021, o meglio fino all’8 novembre 2021, data di uscita del voucher digitale per tutti i richiedenti residenti in Italia, il bonus Terme si basava su un voucher digitale di 200 euro per l’accesso e l’uso delle strutture termali o dei centri benessere.

Il successo di questo bonus è stato determinato dalla sua assenza di requisiti fondamentali, in particolare quello dell’attestazione ISEE, che lo rende estremamente competitivo rispetto al Bonus Vacanze.

E anche un po’ la sua “rovina”, visto che in meno di due giorni il fondo da 52 milioni di euro è stato completamente svuotato.

Questo lo renderebbe non più disponibile, anche perché, a seguito dell’approvazione della Manovra di Bilancio il 30 dicembre 2021, e la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale poco dopo, non c’è traccia di ulteriori rifinanziamenti per il 2022.

Però va detto che c’è una possibilità ancora per poterlo accaparrare, ma non sarà a beneficio di tutti. Anzi sarà a danno di chi lo possiede.

Bonus Terme 2022: ecco a chi potrebbe spettare

Attualmente i 262mila voucher disposti dal fondo di 52 milioni di euro del Ministero dello Sviluppo Economico, ed erogati tramite il sito Invitalia, sono ormai andati a tutti coloro che avevano la residenza in Italia e la cittadinanza italiana.

Nonché la fortuna di:

  • avere le terme preferite all’interno della lista di stabilimenti aderenti all’iniziativa;
  • avere la velocità per ottenere la prenotazione tra l’8 e il 9 novembre 2021, in pieno click-day.

Perché in ventiquattr’ore tutti i 262 mila voucher sono stati scaricati, anche a costo di far saltare i server dell’azienda per diverse ore.

Un classico esempio di click-day, con tanto di black-out dei servizi.

in compenso, è stato altamente fruttuoso, dato che, con una modica spesa di 52 milioni di euro, l’indotto del settore turistico e termale ha ricavato ben 300 milioni di euro, stando ad alcune analisi.

Praticamente un investimento statale che ha portato al 600% di ricavo. Non male, per certi versi, anche se a beneficiare non è stata tutta gente bisognosa.

Bonus Terme 2022: ecco a chi sono toccati i 200 euro!

Una delle principali critiche rivolte al bonus Terme è il fatto che come bonus fosse alquanto gratuito, anzi “troppo” gratuito, visto che non ha requisiti importanti se non il fatto di essere cittadino italiano e residente in Italia.

Non è richiesta alcuna attestazione ISEE, per esempio, che attesti un reddito familiare gravoso e quindi avente diritto di supporti economici e agevolazioni.

Infatti il Codacons ha battuto il dito proprio su questo aspetto: la mancanza di una disposizione a favore delle famiglie o dei richiedenti con difficoltà economiche.

Teoricamente potrebbe andare anche a chi spende in media più di 200 euro alle terme, e senza chiedere soldi allo Stato. Cosa che non è successa, visto che qui chi l’ha ottenuto è chi ha avuto fortuna a ottenerlo durante il click-day.

Pertanto, un eventuale rinnovo del bonus Terme probabilmente dovrà avere in conto anche l’introduzione dell’attestazione ISEE

Già lo ha il Bonus Vacanze, con un limite massimo a 40.000 euro, più tre scaglioni di importo a seconda della composizione familiare.

Bonus Terme o Bonus Vacanze? Chi potrà avere la proroga nel 2022

Va detto però che il Bonus Vacanze nasce dalla necessità del Governo Conte II di aiutare un settore estremamente esteso, perché riguarda complessi balneari e servizi di ristoro vacanzieri, cioè servizi che riguardano decine di milioni di turisti all’anno.

Il Bonus Terme riguarda solo centri termali e relativi alle acque minerali curative, dunque un settore che, con tutto il dovuto rispetto, riguarda ben 2.700.000 turisti all’anno.

Pertanto è stato preferito, per una platea più contenuta e meno dispersiva, provvedere ad un voucher veloce, senza attestazioni o altro, così da garantire una miglior efficacia nell’investimento.

A conti fatti entrambi hanno pregi e “difetti”, ed entrambi potrebbero avere delle chance di venire prorogati per quest’anno.

Già l’abbiamo visto col Bonus Vacanze, che addirittura la deputata del Movimento Cinque Stelle, Valentina Palmisano, in sede parlamentare, aveva proposto come ordine del giorno la discussione del rinnovo del bonus per venire incontro al settore turistico, minato in pochi giorni (e con le prime punte di super-contagi da Omicron) di migliaia di disdette e annullamenti.

Per il bonus Terme invece la richiesta viene per motivi diversi.

Bonus Terme 2022: proroga da Invitalia? Vediamo cosa succede

Il sito di Invitalia ha ottenuto ad agosto 2021 la responsabilità di gestire l’erogazione dei certificati relativi all’acquisizione del bonus Terme.

La stessa Invitalia che, a fronte del successo mastodontico del bonus, ha subìto un assalto al server provocandogli un blackout. In meno di 48 ore tutti i voucher sono stati erogati, la bellezza di 256.000 voucher, per un valore di 52 milioni di euro.

La stessa Invitalia garantisce l’utilità di quei voucher entro i 60 giorni successivi dall’assegnazione, in modo di evitare eventuali distinte o ritardi.

Teoricamente, in caso di annullamento del voucher passati questi sessanta giorni, dovrebbero tornare all’azienda, e quindi ridisporre dei voucher avanzati per un eventuale tornata.

Teoricamente. In realtà la situazione non è così, purtroppo.

Bonus Terme 2022: l’allarme di Federterme! Serve una proroga!

A seguito dell’aumento dei contagi le misure anti Covid hanno cominciato a farsi sentire anche per il settore turistico, visto che di recente il presidente di Federterme, Massimo Caputi, ha segnalato delle irregolarità per l’erogazione dei bonus termali.

Queste irregolarità riguardano il fatto che, sebbene Toscana, Emilia Romagna e Lombardia siano le regioni che hanno avuto più fortuna con l’acquisizione dei bonus, non è stato concesso ulteriore tempo per la fruizione dei bonus.

Che ricordiamo, una volta erogati l’8 novembre 2021, hanno una durata di 60 giorni, entro i quali dovranno essere utilizzati e vidimati alla fine del servizio termale.

Questo comporterà, alla fine delle scadenze, all’eliminazione di ben 100.000 voucher ancora inutilizzati, e si parla di 20 milioni di euro, visto che il voucher è di 200 euro l’uno.

Lo stesso Caputi è abbastanza contrariato per la situazione:

“La gente non capirebbe perché è stata attirata dallo sconto e poi non ha potuto beneficiarne, perché il Governo sembra sordo agli appelli delle aziende e delle città termali”.

Purtroppo era difficile prevedere il trionfo della variante Omicron, segnalata a fine novembre 2021, dato che in meno di pochi giorni ha praticamente fatto arrivare il numero di positivi a vette milionarie.

Purtroppo la prospettiva non è rosea, se non c’è un freno ai contagi e il Governo Draghi arriva, nonostante l’ottima copertura vaccinale, a disporre un nuovo lockdown generale come extrema ratio.

E quindi a richiedere tutti in casa, e così facendo a bloccare tutte le attività aperte al pubblico.

Bonus Terme 2022: eventuali modifiche con la proroga

Si possono fare delle congetture in merito a quel che potrebbe succedere in caso di proroga per il Bonus Terme 2022.

Se la richiesta del presidente di Federterme viene accolta dal Governo Draghi, e in particolare dal Ministro Roberto Cingolani, ai quali era indirizzata la sua comunicazione, si dovrà però venire incontro anche a quella della Codacons.

Ovvero all’introduzione dell’attestazione ISEE. In effetti è già successo col Bonus Cultura, che, stando alle ultime novità, dovrebbe prevedere un ISEE di almeno 25.000 euro come limite massimo d’accesso.

Ricordiamo che questo bonus, fino al 2021, era totalmente privo di attestazione ISEE.

Questo ridurrebbe ovviamente la platea di riferimento, se viene adottato un limite ISEE di 25.000 euro, come quello disposto dal Bonus Cultura. Forse aumenterebbe se fosse attorno ai 40.000 euro, come quello del Bonus Vacanze, ma questo dipenderà dalle disposizioni.

Più ovviamente tutte le limitazioni Covid relative agli assembramenti e al contatto con superfici o personale, ma quello è già previsto da mesi. Sarà disposto inevitabilmente il Super Green Pass per l’accesso ai servizi, quindi i soli tamponati non potranno accedervi.

Però, fino a ulteriori novità, il Governo Draghi non ha rilasciato alcuna comunicazione per eventuali rinnovi in merito al bonus. Purtroppo la situazione non sarà molto favorevole per i vacanzieri.

Quali sono le 5 più grandi società di ferro quotate in Borsa

I prezzi del ferro hanno sofferto negli ultimi anni, ma alcuni investitori rimangono ottimisti sul metallo industriale. Gran parte del settore dei metalli ha sofferto sotto il peso della pandemia di COVID-19, invece il ferro è stato in grado di superare la pressione al ribasso. Negli ultimi anni, l’eccesso di offerta, abbinato a una domanda inferiore, ha esercitato una forte pressione sul trend del prezzo del minerale di ferro. Ecco quali sono le 5 più grandi società di ferro quotate in Borsa.

Investire in ferro: storia e usi

Il ferro è un elemento chimico con simbolo Fe e numero atomico 26. È un metallo della prima serie di transizione. È l’elemento più comune sulla Terra, formando gran parte del nucleo esterno e interno della Terra. È il quarto elemento più comune nella crosta terrestre. Oggetti di ferro sono stati trovati in Egitto intorno al 3.500 a.C. Contengono circa il 7,5% di nichel. Gli antichi Ittiti dell’Asia Minore furono i primi a fondere il ferro dai suoi minerali intorno al 1.500 a.C. e questo metallo diede loro potere economico e politico. Ferro, cobalto e nichel hanno una serie di proprietà simili e una volta erano raggruppati insieme come gruppo 8B. L’uso più comune del ferro è nella produzione di acciaio, che ha varie proprietà e usi interessanti. Il ferro è ampiamente usato per realizzare elettrodomestici come piatti, padelle, cucchiai, lavastoviglie e fornelli. Molti edifici in tutto il mondo sono costruiti con l’aiuto di barre di ferro metalliche. Inoltre, il ferro viene utilizzato per realizzare strumenti e materiali di costruzione. Il ferro è un elemento importante nella produzione di ammoniaca. Il ferro può essere utilizzato per realizzare tralicci elettrici che trasmettono elettricità. È difficile usare il ferro da solo nella sua forma pura perché è molto malleabile. Questo è il motivo principale per cui viene combinato con diverse leghe per formare l’acciaio. Molti ponti famosi in tutto il mondo come Brooklyn sono costruiti in grande misura in ferro. La resistenza duttile e la durezza del ferro danno loro la forza di sopportare il peso massimo.

Investire in ferro: azioni delle società quotate

Ecco i cinque maggiori players nel mercato del ferro, classificati in base alla loro capitalizzazione di mercato. I migliori produttori di ferro:

  • ·     Gruppo BHP (NYSE: BHP): si tratta di una società di risorse che produce rame, minerale di ferro, nichel, zinco, petrolio e gas naturale. La capitalizzazione di mercato è pari a $120.2 miliardi.
  • ·     Rio Tinto (NYSE: RIO): si tratta di una società mineraria diversificata che produce minerale di ferro, alluminio, rame e diamanti. La capitalizzazione di mercato è pari a $85.9 miliardi.
  • ·     Vale (NYSE: VALE) è il più grande produttore di minerale di ferro al mondo. Produce anche nichel, carbone e rame. La capitalizzazione di mercato è pari a $57.2 miliardi.
  • ·     Angloamerica (LSE:AAL) è una società mineraria diversificata che produce minerale di ferro, rame, diamanti e carbone. La capitalizzazione di mercato è pari a $34.2 miliardi.
  • ·     ArcelorMittal (NYSE: MT) è un produttore di acciaio integrato e minatore di minerale di ferro e carbone per la produzione di acciaio. La capitalizzazione di mercato è pari a $14.8 miliardi.

Investire nel minerale di ferro: domanda e offerta

L’Australia è di gran lunga il più grande produttore di minerale di ferro. La produzione di ferro è arrivata a 930 milioni di tonnellate. Altri importanti produttori nell’industria mineraria del ferro includono Brasile, Cina e India. Negli ultimi anni, l’eccesso di offerta, abbinato a una domanda inferiore al previsto, ha esercitato una forte pressione sul prezzo del minerale di ferro. La produzione cinese è il fattore chiave dei prezzi globali del ferro.

Investire in ferro: trend del prezzo

“Sarà interessante vedere se la Cina allenterà la sua politica di riduzione dell’acciaio dopo le Olimpiadi invernali”,

secondo un report di CreditSights. Anche se ciò sembra improbabile dati gli obiettivi di decarbonizzazione a lungo termine del paese, resta da vedere quanto i produttori di acciaio locali seguiranno la politica.

“I produttori affrontano una minore produzione di acciaio in Cina tra controlli ambientali, indebolimento del mercato delle costruzioni immobiliari e pressioni energetiche nel settore manifatturiero”,

ha riferito Moody’s in una nota.

Chi deve presentare subito l’ISEE per non perdere il Rdc?

Ha fatto tirare un sospiro di sollievo a tutti i titolari del reddito di cittadinanza la decisone del governo di Mario Draghi di confermare questo tipo di sostegno anche per il 2022. Anche il parlamento, poi nonostante varie voci contrarie a questo sussidio ha, alla fine dato il via libera alla legge di bilancio confermando, pur con alcune modifiche l’impianto presente dal 2019 e voluto dai cinque stelle.

Non è però il caso di stare troppo tranquilli, perché per quelli che potranno godere del beneficio anche quest’anno c’è già in vista un primo ostacolo, che se non superato potrebbe se non cancellare, quantomeno sospendere per qualche mese l’erogazione del contributo. 

Attenzione quindi a non lasciare trascorrere troppo tempo perché la data fatidica si avvicina. Entro il 31 gennaio infatti tutti i titolari di questo tipo di sussidio dovranno rinnovare il proprio ISEE. In sostanza dovranno presentare la Dichiarazione Sostitutiva Unica all’INPS che provvederà alle opportune verifiche e se ne ricorrono le condizioni continuerà a versare gli importi mensili sulla card.

Non presentarla, equivale a una violazione dei propri obblighi nei confronti dello stato, e porta alla sospensione immediata delle erogazioni. Presentarne una più favorevole di quella su cui è stato calcolato l’importo corrisposto, significa che l’assegno sarà ricalcolato e ridotto di conseguenza.

ISEE che cosa è

L’indicatore della situazione economica equivalente noto come ISEE  secondo quanto si legge sul dito dedicato del ministero del lavoro

è il mezzo utilizzato per valutare l’effettiva situazione economica di una famiglia. Viene richiesto ogni volta che si vuole accedere a una prestazione sociale agevolata.

In sostanza si tratta di un calcolo che viene fatto dall’INPS, che basandosi su una serie di dati patrimoniali, finanziari e di reddito e sul numero e su alcune qualità dei componenti della famiglia, assegna al richiedente una classe di reddito.

Questa somma non corrisponde al reddito effettivo che entra nelle tasche di quella famiglia, perché è influenzato per esempio anche dalle proprietà e dal numero di persone che attingono a quel reddito. 

A chi chiedere l’ISEE

La domanda per ottenere l’ISEE deve essere inoltrata all’INPS che si occuperò di fare i calcoli necessari. All’utente viene chiesto di fornire una serie di dati compilando la DSU.

In quella, oltre ai propri dati personali e a quelli che identificano i componenti del nucleo familiare dovranno essere fornite informazioni quali i redditi da lavoro, la giacenza media sul conto corrente per l’anno precedente, il valore di eventuali immobili e il possesso di autoveicoli.

Questo modello potrà essere inviato all’INPS per via telematica dal richiedente utilizzando l’apposito servizio messo a disposizione dall’ente. In alternativa ci si potrà rivolgere a un Caf che a seguito di una convenzione stipulata con INPS trasmettono le DSU in modo gratuito.

Ultima possibilità è quella di avvalersi anche dell’ISEE precompilato. In questo caso

è reperibile sul sito INPS un modello di dichiarazione già contenente i dati in possesso dell’istituto di previdenza e quelli forniti da agenzia delle entrate al quale dovranno essere aggiunte solo alcune informazioni autocertificate.

Il servizio può essere usufruito anche fornendo una delega al proprio Caf di fiducia.

Perché serve l’ISEE per avere il reddito di cittadinanza

Il redito di cittadinanza come previsto dalla legge numero 4 del 2019

è un sostegno offerto a chi si trovi in difficoltà, che ha lo scopo di aiutarli a superare un periodo di difficoltà fornendo una somma minima fino al momento in cui sarà possibile rientrare nel mondo del lavoro.

Pur non essendo un sussidio in senso stretto, rientra comunque tra i provvedimenti che prevedono una elargizione di denaro da parte dello stato a chi si trovi in particolari condizioni economiche.

Condizioni che vengono appunto certificate tra l’altro con l’ISSE. La legge che regolamenta questo tipo di beneficio infatti oltre a prevedere requisiti di tipo patrimoniale e reddituale prevede anche un valore massimo per l’ISEE.

Questo limite è fissato in 9.360 euro, che come detto si ottengono mettendo in relazione patrimonio e reddito con il numero dei componenti del nucleo familiare. Si ricorda che i dati forniti non sono solo quelli del richiedente, ma quelli di tutti i componenti del nucleo familiare.

Oltre a quel requisito sono poi fissati dei limiti verso l’alto anche per le singole voci che compongono la DSU. Il patrimonio immobiliare, ad esclusione della casa di abitazione principale, sia posseduto in Italia che all’estero non potrà avere un valore superiore ai 30.000 euro. Il patrimonio di tipo mobiliare non potrà superare i 6.000 euro per chi vive da solo, aumentate fino al massimo di 10.000 euro per famiglie numerose.

Il reddito massimo potrà essere di 6.000 euro annui, innalzato in proporzione ai componenti della famiglia. Ci sono poi beni che escludono il diritto al rdc anche se oltre a quello il richiedete non possiede nulla.

Si tratta di auto immatricolate per la prima volta nei sei mesi precedenti a quello dell’inoltro della domanda, oppure di auto con cilindrata superiore a 1.600 cc o moto più potenti di 250 cc che circolano da meno di due anni. Divieto anche di possedere imbarcazioni da diporto.

Cosa succede al mio reddito di cittadinanza se non presento l’ISEE

Chi non presenta l’ISEE ha fornito una domanda incompleta che viene rigettata. Mancherebbe in questo caso sia la base per calcolare l’ammontare dell’assegno sia la possibilità di verificare che il richiedente sia in possesso di una parte dei requisiti per accedere al sussidio. Nulla impedisce che la domanda venga ripresentata, ma dovrà essere completa.

Diverso è invece il caso di chi essendo già titolare di reddito di cittadinanza non presenti la propria situazione patrimoniale nei tempi previsti. In questa ipotesi il beneficio non decade in automatico, ma viene sospeso. I versamenti riprenderanno in modo regolare e automatico, quindi senza le necessità di fare una richiesta formale, quando l’INPS avrà ricevuto e verificato l’ISEE.

Entro quando devo presentare l’ISEE per non perdere il rdc

La Dichiarazione Sostitutiva Unica presentata nel corso del 2021 è scaduta il 31 dicembre di quell’anno, indipendentemente dalla data in cui è stata redatta e consegnata. Non conta a questi fini che non ci siano stati dei cambiamenti. Essendo scaduta la DSU, è scaduto anche l’ISEE.

Nonostante in questo momento il documento sia già scaduto i titolari riceveranno per il mese di gennaio il loro accredito sulla card. La ragione è che si tratta di una somma riferibile allo scorso anno, quando tutti i dati erano ancora aggiornati. Non sarà così invece per il mese di febbraio.

Chi presentasse oltre il 31 gennaio il proprio documento non perderà in automatico il sussidio, ma se lo vedrà congelare fino al momento in cui si sarà rimesso in regola. Dal mese successivo a quello in avrà consegnato la DSU l’ente previdenziale verserà due assegni mensili, fino a quando saranno stati pagati tutti gli arretrati.

Per mantenere il mio Rdc devo presentare l’ISEE corrente?

L’ISEE cosiddetto ordinario in realtà non fotografa in tempo reale la situazione finanziaria di una famiglia, ma vista la difficoltà a reperire tutti i dati richiesti si riferisce a un periodo precedente. I dati della dichiarazione dei redditi per esempio sono quelli dell’anno precedente, ma anche la giacenza media del conto sul conto corrente, trattandosi di una media può non riflettere la situazione effettiva.

Per questa ragione a fianco di quello ordinario è stato pensato anche l’ISEE corrente che secondo il decreto del ministero del lavoro del 5 luglio 2021

potrà essere presentato a partire del primo aprile di ogni anno e tutte le volte in cui la situazione patrimoniale attuale si discosti più del 20% da quella ottenuta presentando il modello ordinario. Inoltre nei casi in cui il reddito da lavoro sia diminuito di al meno il 25%.

Questo modello tiene conto dei redditi che sono stati ottenuti negli ultimi dodici mesi, ma nel caso di perdita del lavoro anche solo nel due mesi precedenti. Un modo quindi per non penalizzare chi abbia visto all’improvviso peggiorare le proprie condizioni.

Per quanto riguarda nello specifico i titolari di reddito di cittadinanza dovrà essere presentato entro il 31 gennaio 2022 il modello ordinario, quindi il riferimento sia al reddito che alle giacenze medie dei conti correnti sono quelle del 2020. Dovrà essere invece presentato il modello corrente nel caso la situazione familiare sia cambiata rispetto a quella di due anni fa.

Va poi ricordato che avere un reddito da lavoro pur non essendo qualcosa di incompatibile con questo sussidio è un dato di cui deve essere data immediata notizia. Chi al 31 gennaio avesse un rapporto di lavoro in corso dovrà inviare all’INPS anche un modulo con il quale si comunica il reddito presunto per il 2022. Sulla base di quello sarà eventualmente ricalcolato il valore dell’assegno.

ISEE falso cosa si rischia

La DSU presentata ai fini ISEE viene in parte provata da documenti da allegare, ma costituisce in parte anche un atto di fiducia, visto che alcuni dati sono autocertificati e che la tentazione di omettere informazioni è sempre dietro l’angolo. La fiducia che viene concessa dal governo, però alla luce dei numerosi furbetti che sono stati pizzicati si è notevolmente assottigliata. 

Di pari passo sono aumentati i controlli fatti sia prima della concessione del reddito di cittadinanza, sia sui documenti presentati in seguito.

Spetta ai comuni verificare le informazioni relative alla composizione della famiglia. L’INPS invece, con un’accelerazione prevista a partire da marzo quando dovrà presentare un piano di controlli fatti soprattutto su immobili, mobili e conti correnti con particolare attenzione a quelli che si trovano all’estero.

La scoperta di notizie false comporterà la revoca immediata dl beneficio, l’obbligo di restituire quanto ricevuto, oltre alla trasmissione della pratica agli organi giudiziari che verificheranno la presenza anche di comportamenti che integrino reati.

Ti svelo i modi in cui viene influenzato il cambio valuta

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Benvenuto in questo nuovo articolo di Trend Online. Oggi tratterò un argomento che molto spesso nella vita quotidiana non ha una certa rilevanza, ma in alcune circostanze invece diventa molto importante. Sto parlando del cambio della valuta.

Se stai pianificando un viaggio all’estero in un Paese che non abbia l’euro come moneta di stato (anche se la situazione sanitaria in merito al Covid al momento non è un indicatore favorevole alla questione viaggi) o ti sta nascendo un particolare interesse verso il mercato finanziario Forex oppure la tua attività lavorativa prevede scambi commerciali con l’estero, quest’articolo fa proprio al caso tuo.

In questo testo ti spiegherò innanzitutto cos’è un cambio valuta e ti fornirò la descrizione delle sue principali caratteristiche e questo lo farò nel paragrafo che segue.

Nel secondo paragrafo dell’articolo ti parlerò dell’argomento principale del giorno, ossia i fattori che influenzano il tasso di cambio e nell’ultimo paragrafo ti farò un breve riassunto delle informazioni che tratterò nel dettaglio nel primo e secondo paragrafo.

Prima di procedere con l’articolo voglio segnalarti un interessante video YouTube del canale ActivTrades Italia, che si dedica principalmente all’argomento Forex e tratta appunto il tema del cambio valuta.

Cambio valuta: definizione e caratteristiche principali

Innanzitutto ti fornisco la definizione di valuta:

Si tratta del numero di unità di moneta estera che può essere acquistato con un certo numero di unità di moneta nazionale

In pratica la valuta è il rapporto che possono avere due monete differenti e non esiste moneta che abbia un valore congruente all’altro.

Questo significa che non esiste una moneta esattamente uguale all’Euro in termini di valore, è possibile solo che ci siano monete con un valore simile o quantomeno molto vicino, ma non può mai e poi mai essere uguale.

Esistono due metodi di comparazione:

  • Cambio certo per incerto
  • Cambio incerto per certo

Il cambio certo per incerto presuppone questo concetto: per ogni moneta di una certa valuta c’è un numero incognito che corrisponde all’ammontare della moneta equivalente.

In termini matematici l’equazione sarebbe 1=x (1 è il valore di una moneta conosciuta, mentre x è il valore della moneta messa a confronto che dev’essere scoperta).

Il cambio incerto per certo funziona al contrario, cioè si parte dal valore di un’unità di una moneta estera e bisogna calcolare il valore della moneta domestica (cioè la moneta del proprio Paese). L’equazione in questo caso sarà x=1.

Il concetto che devi avere in mente è che sulla parte sinistra viene sempre indicata la moneta domestica, mentre a destra viene messa la valuta estera.

Il metodo comparativo certo per incerto (cioè il primo) viene spesso applicato all’Euro, mentre per tutte le altre valute viene applicato il secondo metodo (la valuta che viene presa come riferimento è il Dollaro).

In questo discorso entrano in gioco anche i cosiddetti tassi di cambio, che vengono suddivisi in tre categorie:

  • Tasso nominale
  • Tasso reale
  • Cross rate

Il primo è molto semplice e non è altro che l’analisi effettiva del cambio valuta, seguendo i metodi certo per incerto e incerto per certo.

Il tasso reale invece è diverso, dato che il metro di paragone che viene utilizzato è il prezzo di un potenziale bene, il cui costo viene paragonato nelle due valute messe a confronto.

In sostanza possiamo prendere un esempio qualsiasi, come il costo di un chilo di pane, e si fa il confronto tra il prezzo in euro e in una qualsiasi altra valuta (come per esempio il dollaro, sterline ecc.).

Il cross rate invece è il tasso più complicato, perché si calcolano le differenze tra le due valute, ma attraverso una terza valuta che assume un valore neutro.

Per esempio, se devi capire la differenza di valore tra Euro e Sterlina potresti usare come terza valuta il Dollaro.

In pratica si calcola la differenza tra l’Euro e il Dollaro e in seguito la differenza tra Sterlina e Dollaro, per poi fare il confronto finale.

cambio valuta (1)

Cambio valuta: quali sono i fattori che influenzano l’oscillazione?

Ti ho parlato di cos’è una valuta e ti ho descritto i due metodi di comparazione principali e i tre tipi di tassi di cambio. Adesso ti fornirò una descrizione esaustiva su quelli che sono invece gli elementi che condizionano l’andamento di una certa valuta.

Il primo indicatore che ti nomino è il cosiddetto differenziale d’inflazione

L’inflazione è un fenomeno in economica che indica il progressivo aumento dei prezzi dei beni e la costante perdita di potere d’acquisto di una certa moneta.

Diciamo che il potere d’acquisto è la capacità che una moneta ha di poter acquistare un certo prodotto in un preciso momento. 

Supponiamo che con €10 tu possa comprare una pizza con €6, una bevanda con €2 e una scatola di patatine fritte con altri €2. 

Facciamo finta che il prezzo della bevanda possa aumentare e passare da €2 a €2,50, questo significa che i tuoi €10 hanno perso la loro capacità di poter acquisire quei tre beni, perché adesso avrai bisogno del supporto di 50 centesimi per poter completare la tua azione di compravendita.

Lo stesso e identico discorso vale per il cambio valuta. Ci sono nazioni che hanno un livello d’inflazione minore e generalmente questi stati hanno un sistema economico e politico abbastanza solido.

Questo significa che la loro moneta ottiene una sorta d’aumento di valore, che tecnicamente si chiama apprezzamento. Invece la diminuzione del suo valore si chiama deprezzamento.

Un altro fattore che condiziona il cambio valuta è il differenziale dei tassi d’interesse.

In questo discorso entra in gioco un organo istituzionale, che è la cosiddetta banca centrale. Nel caso dell’Europa abbiamo la Banca Centrale Europea, conosciuta anche come BCE.

Il discorso è che la banca centrale regola i tassi d’interesse dei cambi valuta per ragioni estremamente complicate e legate a tutt’un sistema burocratico molto variegato. 

In ogni caso la conseguenza dell’influenza di questi tassi ha delle ripercussioni sui valori delle varie valute e anche sul fenomeno stesso dell’inflazione. 

Quando si applica un tasso maggiore su una valuta, questo è generalmente un segnale positivo per un investitore, il quale aumenta le sue possibilità di profitto. Lo stesso discorso vale per il contrario, cioè se viene applicato un tasso più basso, il profitto o sarà minore oppure si può rischiare persino una perdita.

L’altro fattore che influenza il cambio valuta è il deficit delle partite correnti (oppure current-account). 

Le partite correnti sono l’insieme di tutte le transazioni di vendita e d’acquisto che un Paese effettua in un certo arco di tempo (generalmente si considera un anno).

Diciamo che il saldo della bilancia delle partite correnti ha come scopo principale il confronto con un altro stato e qualsiasi altro tipo di partner commerciale.

Da questo tipo di analisi e valutazioni si evincono dati fondamentali, come per esempio il resoconto delle spese effettuate in base alla sua capacità di guadagno.

Se le spese risultano maggiori rispetto all’entrate, questo crea un meccanismo pericoloso che innesca una serie di circuiti di debiti, che inevitabilmente rischiano di far abbassare il valore della valuta.

L’altro fattore importantissimo è appunto il debito pubblico. Questo termine tecnico viene spesso utilizzato quando si parla di spread o titoli di stato in generale e non è altro che il debito che uno stato ha nei confronti dei suoi investitori (che possono essere altre nazioni, privati, aziende o banche).

In questo discorso anche la stabilità politica gioca un ruolo fondamentale sull’andamento del valore di una valuta, proprio perché il sistema politico ha una forte influenza sull’andamento economico di un Paese.

Un altro fattore da considerare è il Terms of Trade. Si tratta del rapporto che confronta i prezzi d’importazione e d’esportazione dei beni di una certa nazione. 

Se il prezzo d’esportazione aumenta rispetto al prezzo d’importazione, in una prospettiva a medio e lungo termine i guadagni tendono a essere maggiori e questa condizione crea dei buoni presupposti per l’apprezzamento di una certa moneta.

Ti ricordo che apprezzamento di una moneta vuol dire aumento del suo valore.

L’ultimo fattore che ti presento è la produttività. Il discorso riguarda principalmente il settore secondario, cioè il settore delle industrie, ma anche le attività del settore terziario possono essere incluse.

Il punto è che quanto più un Paese riesce a essere produttivo, tanto più valore riesce a generare (quindi si presuppone anche le esportazioni, se parliamo della vendita di prodotti) e naturalmente tutto questo circolo virtuoso fa sì che anche la moneta possa avere un apprezzamento.

cambio valuta (2)

Cambio valuta: riepilogo generale

In questa sezione faccio un breve ripasso generale di tutti gli argomenti che ho trattato nel corso dell’articolo.

Nel primo paragrafo ti ho detto che:

  • La valuta non è altro che il numero di unità di moneta estera che può essere acquistato con un certo numero di unità di moneta nazionale. 
  • Nell’equazione che concerne il cambio valuta, il numero a sinistra corrisponde sempre alla valuta domestica
  • I due metodi di comparazione sono il certo per incerto, cioè 1=x e l’incerto per certo, con equazione x=1
  • I tre tassi di cambio sono quello nominale, basato sui valori effettivi delle valute, reale se prende come riferimento il prezzo di un bene e il cross rate, che prende come riferimento una terza valuta a cui si fa la differenza con le due coinvolte nel confronto

Nel secondo paragrafo ti ho parlato principalmente dei fattori che influenzano il cambio valuta e questi sono:

  • Differenziale d’inflazione (l’inflazione è l’aumento progressivo dei prezzi di un bene e col passare del tempo fa perdere potere d’acquisto alla moneta)
  • Differenziale del tasso d’interesse, applicato dalle banche centrali
  • Deficit delle partite correnti, cioè il confronto dei propri bilanci con altri Paesi e altri partner commerciali
  • Debito pubblico
  • Terms of Trade, ossia la differenza tra i prezzi d’importazione ed esportazione
  • Stabilità politica
  • Livello della produttività del Paese di riferimento

Bollo auto: ecco chi non deve pagarlo!

È inutile dire che vivere per gli italiani sia diventato sempre più caro.

Il rialzo generale dei prezzi provocato dal fenomeno inflattivo, di certo proprio bene al portafoglio delle famiglie italiane non ha fatto.

Partita da un rincaro dei prezzi dei prodotti energetici, in effetti questa spirale inflazionistica non ha tardato a trasferirsi su altri prodotti, anche di largo consumo, con effetti che sono diventati sempre più percepibili a tutti i livelli a fronte invece di salari che sono rimasti costanti.

Pertanto per gli italiani barcamenarsi tra spese per il cibo, per i figli, per le bollette, per la casa, è diventato sempre più complicato.

Se a questo aggiungiamo anche i soldi che ogni anno gli italiani devono destinare anche al pagamento di tasse ed imposte varie, ecco che far quadrare i conti diventa sempre più difficile in un contesto di crisi finanziaria ulteriormente esacerbata dalla situazione pandemica.

E tra le varie tasse che gli italiani si trovano a pagare c’è anche il bollo auto. Una tassa che gli automobilisti pagano annualmente ma che sicuramente rientra tra quelle più malvolentieri digerite, perché è una tassa che si paga indipendentemente dal fatto che si sia utilizzato o meno il mezzo di trasporto.

Tuttavia non tutti gli automobilisti sanno che ci sono delle particolari situazioni in cui gli stessi posso essere esonerati da pagamento di questa tanto odiata imposta, e nel corso di questo articolo indicheremo proprio tutte le fattispecie in cui tale esonero si verifica.

Prima però cerchiamo di capire meglio che cosa è il bollo auto, perché si paga, e chi deve pagarlo.

Bollo auto: che cosa è

Il bollo auto è una tassa che viene pagata con cadenza annuale, il cui pagamento è collegato esclusivamente al possesso dell’automobile che sia stata regolarmente iscritta al Pubblico Registro Automobilistico (PRA).

È una tassa quindi, il cui pagamento trova giustificazione esclusivamente nel possesso del mezzo, come tale deve essere pagata da ogni automobilista indipendentemente dal fatto che questo usi o meno la sua vettura o la lasci semplicemente ferma all’interno del suo garage anche per lunghissimi periodi di tempo.

Questa sua particolarità non la rende particolarmente digeribile agli occhi, ma soprattutto al portafoglio, degli italiani tanto che a lungo si è discusso della possibilità o meno di volerla togliere, un dibattito sicuramente molto acceso in virtù del fatto che questa tassa risulta anche essere decisamente più cara rispetto a quella che si paga negli altri paesi europei.

Per chiunque fosse interessato un video tratto dal canale We Drive – YouTube, offre spunti interessanti sul tema.

Bollo auto 2022: quando si paga

Dopo aver detto che è una tassa che trova la sua ragion d’essere esclusivamente nel possesso dell’autoveicolo, bisogna poi specificare che si tratta di una tassa la cui competenza è meramente regionale e non nazionale.

Il bollo si paga con cadenza annuale e normalmente sempre nei 30 giorni successivi alla precedente scadenza. Normalmente la scadenza del bollo coincide con il mese in cui l’auto è stata immatricolata.

Tuttavia questo non è sempre vero perché in alcune regioni, specie per le auto che hanno avuto più recente immatricolazione, la scadenza del bollo si ha nello stesso mese dell’immatricolazione, ed è quello che ad esempio accade in regioni quali Piemonte e Lombardia.

Tuttavia bisogna dire che non tutti coloro che possiedono un’automobile devono necessariamente corrispondere questa tassa, infatti ci sono delle specifiche esenzioni che andremo meglio a delineare nel proseguo dell’articolo.

Bollo 2022: come si paga

Diverse sono le modalità attraverso le quali si può pagare questa tassa automobilistica, ma fondamentalmente, resta il fatto che questa può essere pagata di persona, oppure ricorrendo direttamente a modalità di pagamento online.

Diversi sono i punti nei quali è possibile pagare personalmente il bollo, si pensi alle poste, alle tabaccherie, ai i punti di vendita Sisal e Lottomatica, agli sportelli ATM abilitati o alle delegazioni ACI.

Ma ultimamente con l’esplosione dei mezzi di pagamento digitali, anche per il bollo esistono differenti modalità per poter pagare questa tassa restando comodamente a casa.

In effetti si può far ricorso ai servizi di Home Banking del proprio istituto di credito, si può utilizzare il sito o l’app di poste italiane, il sito dell’Aci con il servizio pagoBollo (in tal caso si avrà bisogno per poter accedere dello SPID o della CIE), oppure utilizzando l’app messa a punto dalla pubblica amministrazione che si chiama Io.

Bollo auto 2022: come si calcola

Abbiamo visto che è una tassa che si paga con cadenza annuale e che essendo di competenza regionale, sono anche le stesse regioni che incassano tutti i proventi connessi alla riscossione di questa imposta, così come sono anche le stesse che stabiliscono i criteri in base ai quali calcolare l’importo della tassa stessa.

Normalmente il costo del bollo è legato a due parametri fondamentali, potenza del veicolo e classe di inquinamento.

Per effetto di questa combinazione si avrà che le auto più datate, che normalmente sono anche le più inquinanti, vengono a pagare un bollo più elevato ma analogamente, a parità di classe energetica, un’auto più potente corrisponderà un bollo più alto rispetto ad un’auto meno potente.

Bollo auto: cosa succede se non si paga

Il mancato pagamento del bollo può portare a conseguenze molto gravi che possono addirittura arrivare al fermo amministrativo del veicolo.

Questo fermo, oltre ovviamente al pagamento di sanzioni e di interessi di mora, comporta anche delle conseguenze pratiche perché esso ha come estrema conseguenza, la cancellazione dello stesso autoveicolo dal PRA.

Bollo auto: novità per il 2022

Nonostante questo fosse stato visto da più parti come l’anno della svolta, alla fine tale svolta non c’è stata, perché sebbene ci siano state tante discussioni in proposito il Governo non ha preso nessuna decisione riguardo l’abolizione di questa tassa, ragion per cui anche per il 2022 gli italiani si troveranno a corrispondere il bollo auto.

In aggiunta, non solo non c’è stata l’abolizione del bollo auto, ma è stato completamente respinto anche l’emendamento nel quale si chiedeva la cancellazione del superbollo per tutti gli autoveicoli con potenza superiore a 185 Kw.

L’unica novità in materia di bollo auto, è stato il completo stralcio di tutte le cartelle esattoriali di importo inferiore ai 5 mila euro per il bollo non pagato negli anni che vanno dal 2000 al 2010, con conseguente cancellazione di questi debiti già partire dallo scorso novembre.

Bollo e Covid: cosa è successo

Durante la fase emergenziale prodotta dal Covid, il governo è intervenuto con misure di sostegno anche in favore degli automobilisti. Tra questi proprio in relazione al bollo auto lo Stato, durante la fase più acuta della pandemia, aveva anche deciso di posticipare il pagamento del bollo.

Relativamente al bollo auto però, bisogna aggiungere che ci sono diversi automobilisti che ad oggi sono esonerati dal pagamento di questa tassa.

A breve daremo proprio una descrizione di tutte le categorie che sono esentate dal pagare il bollo sulle auto.

Bollo auto: possibili esoneri

In effetti sebbene si sia a lungo dibattuto circa la possibilità di abolizione di questa tassa ad oggi nessuna decisione concreta è stata presa in materia, pertanto tutti gli automobilisti si troveranno a pagare per l’anno in corso questa tassa così tanto discussa proprio perché come abbiamo detto è una tassa che prescinde completamente dall’utilizzo effettivo del veicolo.

Questo vuol dire che è legata al solo possesso dell’auto, che è il fondamento che fa scaturire l’obbligo al pagamento dell’imposta anche se di fatto l’auto non sia mai stata utilizzata o sia ferma da anni nel proprio garage.

È una tassa che grava e non poco sui bilanci familiari, tanto più in un periodo di crisi economica come questo, acuito dalla presenza della pandemia che ha esacerbato determinati aspetti.

Durante la fase più acuta della crisi pandemica in aiuto delle famiglie italiane il governo ha prorogato il pagamento del bollo, e anche dopo si sono cercate misure che in qualche maniera potessero essere di sollievo alle famiglie italiane per affrontare una situazione di difficoltà che il Covid davvero sembra intenzionato a non far finire mai.

Ecco perché fallendo il tentativo principale di eliminazione complessiva della tassa, in questi ultimi mesi comunque si è cercato di mettere a punto soluzioni che venissero in qualche modo in soccorso degli italiani, come riduzioni o esenzioni.

Tra queste misure, l’abbiamo menzionata anche prima, c’è stato lo stralcio di tutte le cartelle esattoriali di importo inferiore ai 5 mila euro per i bolli non pagati nel decennio 2000-2010, ma anche quando parliamo di esenzioni, non tutti sanno che ci sono talune categorie che sono esentate dal pagamento di questa tassa.

Bollo auto, attenzione: diritto all’esonero auto elettriche

Per quanto riguarda il bollo ricordiamo che è una tassa di competenza regionale e non statale, questo in forza di una sentenza della Corte Costituzionale del 2019 che stabilì massima discrezionalità relativamente a questa tassa alle regioni, purché tale discrezionalità rimanga sempre nei di quanto sancito dalle norme dello stato.

Questa totale autonomia a livello locale, fa sì che le regioni abbiano piena facoltà di determinazione del bollo stesso.

Ecco perché può accadere che la disciplina in materia, le relative agevolazioni e/o esenzioni differiscano sostanzialmente da regione a regione.

Molte volte l’esonero dal pagamento di questa tassa dipende oltre che a livello territoriale, anche dal tipo di automobile posseduta.

È il caso ad esempio di tutta la campagna volta ad uno sviluppo economico sempre più ecocompatibile nell’ambito della quale si cerca di agevolare in qualche modo il rinnovo del parco auto nazionale, piuttosto vetusto e altamente inquinate con altri tipi di vetture che siano invece, più eco-friendly.

È il caso ad esempio del vantaggio che viene dato a chiunque acquisti un’auto elettrica di non dover pagare il bollo nei primi cinque dall’acquisto stesso.

Ma questa agevolazione è stata pensata non sono come un possibile sprone per invogliare esclusivamente all’acquisto, perché una volta che siano passati questi cinque anni, comunque le auto elettriche pagheranno una tassa automobilistica nettamente inferiore alle auto alimentate con carburanti tradizionali tipo diesel, benzina o gas.

Questo tipo agevolazione è prevista anche per le auto ibride anche se, il periodo di esenzione dal pagamento dopo aver effettuato l’acquisto, può oscillare in un periodo che va dai tre ai cinque anni a seconda proprio delle disposizioni delle singole regioni.

Bolo auto: il caso delle regioni Lombardia e Piemonte

In questo senso quanto disposto dalle regioni Lombardia e Piemonte è proprio un esempio dell’autonomia che hanno a livello territoriale le singole amministrazioni riguardo questa tassa.

Per esempio la Lombardia in merito alle auto elettriche ha scavalcato completamente qualunque limite temporale, stabilendo che si è esonerati per sempre dal pagamento del bollo auto se si acquista un’auto elettrica oppure un’auto ad idrogeno.

In aggiunta, sempre la stessa regione, ha fornito incentivi a chi contribuisce a svecchiare il parco auto, stabilendo il pagamento di un incentivo di 90 euro a chiunque demolisca vecchi veicoli inquinanti. Nella stessa direzione va l’esenzione data al pagamento del bollo per tre anni a chiunque cambi la propria auto, acquistando un’auto ibrida, oppure una vettura a benzina Euro 5 o Euro 6.

Analogo esempio arriva dal Piemonte che ha completamente tolto la tassa automobilistica per acquisti di vetture elettriche, a benzina ma di livello Euro 6 o superiore, a metano oppure a gas.

Bollo auto: esonero per le auto d’epoca

Oltre a quelli sopra menzionati, hanno diritto a non pagare il bollo dell’auto tutti coloro che possiedono un’auto d’epoca, ossia un’auto che abbia più di 30 anni. Per queste auto rimane in piedi solo la tassa di circolazione.

Discorso completamente analogo vale per chi possiede un ciclomotore anche se con alcune precisazioni. Per non pagare il bollo infatti, questo ciclomotore deve essere stato certificato come rilevante dal punto di visto storico e rientrare nel range dei 20-29 anni di anzianità.

Bollo auto: esonero per disabili

Infine, fondamentali in questo senso sono tutte le agevolazioni riconosciute ai disabili che abbiano avuto riconosciuta la Legge 104.

Ricorrendo tale evenienza lo Stato esonera completamente dal pagamento del bollo auto la vettura che è di proprietà del disabile o del familiare di cui il disabile è a carico e che viene utilizzata come mezzo esclusivo per il trasporto del disabile stesso.

Legge di Bilancio 2022: Quota 102, Ape Social, Opzione donna

La nuova Legge di Bilancio per il 2022, come era prevedibile dalla bozza della Manovra, contiene moltissime novità. Le misure introdotte in materia fiscale, del lavoro, degli ammortizzatori sociali, bonus e misure di sostegno al reddito, sono davvero tante. Si tratta di provvedimenti che, ovviamente, impattano – per così dire – sul lavoro, sulle famiglie e sulle imprese.

Infatti, si tratta di una Manovra molto consistente, da ben 36,5 miliardi di euro.

Ma un capitolo molto importante e anche molto discusso, riguarda il mondo delle pensioni. Sono stati prorogati, nel dubbio iniziale, i trattamenti pensionistici di uscita dal lavoro anticipato Opzione Donna e Ape Sociale. Oltre alla proroga, le due misure hanno subito qualche cambiamento.

Ma, soprattutto, come era auspicabile, è stata superata e non rifinanziata la tanto discussa Quota 100 e, al suo posto, è stata inserita Quota 102, ma durerà soltanto un anno.

Questo articolo ha l’obiettivo di analizzare tutte le novità sulle pensioni, come Opzione Donna e Ape Sociale e, naturalmente, Quota 102. Proprio su quest’ultima, l’Inps, nella giornata del 10 gennaio 2022, ha pubblicato le istruzioni per presentare la domanda, contenute nel messaggio numero 97.

Legge di Bilancio 2022 e pensioni: tutte le novità!

Tra le tante novità contenute nella nuova Legge di Bilancio del 2022, una parte importante e molto sostanziosa è occupata dall’argomento delle pensioni.

Innanzitutto bisogna dare il benvenuto alla nuovissima Quota 102, che prende il posto della tanto discussa Quota 100. Tuttavia, dobbiamo specificare sin da subito che Quota 102 resta in vigore soltanto per il 2022.

Sempre all’interno del capitolo delle pensioni, sono inserite anche due proroghe molto attese da tutti coloro che sperano di poter andare in pensione in anticipo: si tratta di Opzione donna e dell’Ape Sociale

Ci sono stati cambiamenti su Opzione donna e Ape Sociale? Non molti, in realtà, ma Ape Sociale è stata estesa a molti altri beneficiari – che vedremo, successivamente.

Ebbene, è arrivato il momento di passare all’analisi dei trattamenti pensionistici, partendo proprio dall’introduzione di Quota 102.

Legge di Bilancio 2022: introdotta Quota 102

Con l’addio a Quota 100, la nuova Legge di Bilancio del 2022 ha introdotto Quota 102, ma solo per il 2022. Si tratta, infatti, di una misura “ponte”, prima dell’istituzione di un nuovo sistema pensionistico.

Ma chi potrà accedere a Quota 102 per l’uscita anticipata dal lavoro? I lavoratori appartenenti al settore pubblico e privato, per poter richiedere il trattamento pensionistico di Quota 102, durante il 2022 devono avere un’età di sessantaquattro anni e devono maturare trentotto anni di contributi

Come si legge sul sito pensionioggi.it:

“A condizione che la maturazione dei requisiti avvenga nel corso dell’anno, l’accesso alla pensione è consentito anche successivamente al 31 dicembre 2022”.

Sostanzialmente, i requisiti richiesti sono questi appena elencati. Pertanto, possiamo sintetizzare dicendo che Quota 102 si riferisce ai lavoratori nati entro il 1958 e che, come abbiamo detto poc’anzi, tra il 1° gennaio del 2022 e il 31 dicembre del 2022, raggiungano i trentotto anni di contribuzione.

Quota 102: come fare domanda? Ecco le istruzioni dall’Inps!

L’Inps ha pubblicato le istruzioni per la presentazione delle domande di accesso al trattamento pensionistico di Quota 102.

Le istruzioni sono inserite nel messaggio n. 97, pubblicato il 10 gennaio del 2022. Ma quali sono le modalità di presentazione delle domande?

Innanzitutto, per tutti coloro che sono in possesso di una identità digitale tra Spid, Cie o Cns, è possibile compilare e inoltrare la domanda, direttamente sul sito dell’Inps. Dopo essersi autenticati, bisogna accedere alla sezione “Domanda Pensione, Ricostituzione, Ratei, ECOCERT, APE Sociale e Beneficio precoci”.

Una volta entrato nella sezione indicata, il cittadino non deve far altro che scegliere e cliccare sulla voce “Nuova prestazione pensionistica”; successivamente, su “Anzianità/Anticipata/Vecchiaia”, “Pensione di anzianità/anticipata” e, infine, su “Requisito quota 102”.

Completati i passaggi sopra elencati, è necessario indicare il Fondo di appartenenza e la Gestione di liquidazione

Dobbiamo fare, infine, un’ultima precisazione. Possono avvalersi della modalità sopra indicata i seguenti lavoratori:

  • Iscritti alle Gestioni Private;
  • Iscritti alla Gestione Pubblica;
  • Iscritti alla Gestione spettacolo e sport.

Come si legge nel messaggio dell’Inps, si può utilizzare questa modalità anche:

“[…] al fine di chiedere il cumulo dei periodi assicurativi per il conseguimento del diritto alla pensione “quota 102””.

Infatti, per poter arrivare ai trentotto anni di contributi previsti per accedere a Quota 102, è possibile anche cumulare i contributi versati a casse previdenziali diverse con una sola esclusione: quella presso le gestioni dei liberi professionisti.

In alternativa, alla trasmissione telematica diretta, è possibile presentare domanda anche recandosi presso Patronati o altri professionisti abilitati. Infine, è possibile anche utilizzare il servizio di Contact Center.

Legge di Bilancio 2022: come cambia l’Ape Sociale?

Passiamo adesso ad analizzare un altro trattamento pensionistico prorogato al 2022: Ape Sociale. Quella dell’Ape Sociale si tratta di una proroga molto importante e molto interessante, in quanto la platea dei beneficiari, cioè dei lavoratori gravosi, a cui si riferisce si è notevolmente ampliata.

L’Ape Sociale non è altro che un anticipo pensionistico, riservato, come ben si può comprendere da quanto appena detto, soltanto ad una categoria di lavoratori. Si tratta di lavoratori gravosi o usuranti.

Pertanto, per tutti coloro che fanno parte di questa categoria che, con la nuova Legge di Bilancio è stata ampliata, e che rispettano alcune condizioni, è possibile andare in pensione in anticipo.

Facendo qualche cenno storico, si ricorda che l’Ape Sociale è stata introdotta dalla Legge di Stabilità del 2017 (Legge n. 232 del 2016). Si tratta di un trattamento pensionistico che consente una uscita più flessibile dal lavoro. È una pensione garantita dallo Stato ed è erogata dall’Inps.

Inizialmente, l’Ape Sociale è stata istituita come forma sperimentale, ma, come abbiamo visto, è stata prorogata anche a quest’anno.

Si ricorda che l’Ape Sociale è un trattamento pensionistico che è possibile ricevere in attesa del raggiungimento dell’età per beneficiare della pensione di anzianità.

A chi si rivolge, quindi, l’Ape Sociale? Come già detto, l’elenco delle categorie di lavoratori usuranti si è ampliato. Sul sito pmi.it, si legge che:

“La categoria degli addetti ai lavori gravosi annette coloro che hanno svolto (per almeno 6 anni negli ultimi 7 oppure 7 anni negli ultimi 10) un’attività particolarmente pesante […]”.

Ma quali sono i lavori gravosi aggiunti? L’ampliamento comprende gli insegnati delle scuole elementari, i ceramisti, i magazzinieri, i portantini, gli autisti di mezzi pesanti e così via. Per leggere l’elenco completo si consiglia si visualizzare il seguente link.

Inoltre, per potervi accedere bisogna aver compiuto sessantatré anni di età e bisogna aver versato contributi per trentasei anni. Ovviamente, bisogna aver cessato l’attività lavorativa. 

In riferimento ai contributi, dobbiamo menzionare alcune eccezioni. Per esempio, per gli operai edili, i ceramisti e i lavoratori che si occupano della conduttura di impianti per formare articoli in ceramica e in terracotta, è sufficiente aver maturato trentadue anni di contributi.

Come si legge sul sito ipsoa.it:

“[…] per coloro che si trovino in stato di disoccupazione l’eliminazione, ai fini dell’accesso alla misura, della condizione che siano passati 3 mesi dalla fine del godimento dell’intera prestazione previdenziale di disoccupazione”.

Legge di Bilancio 2022: proroga Opzione Donna. Cosa cambia?

Infine, dobbiamo occuparci anche di un altro trattamento pensionistico, che consente l’uscita flessibile e anticipata dal lavoro. Si tratta di Opzione Donna, della cui proroga si era temuto fino alla fine.

Ci sono stati cambiamenti? No, e non è stata neppure innalzata l’età per accedere alla misura come, invece, era stato inizialmente previsto. 

Per poter accedere a Opzione Donna, sostanzialmente, è necessario aver maturato l’anno scorso trentacinque anni contributivi, sia per le lavoratrici autonome che per le lavoratrici dipendenti.

Tuttavia, tra le due categorie di lavoratrici vi è una differenza. Per l’uscita anticipata con Opzione Donna, le lavoratrici dipendenti devono aver un’età anagrafica di almeno cinquantotto anni; mentre, le lavoratrici autonome devono aver compiuto cinquantanove anni.

Entrambi i requisiti, contributivo e anagrafico, si devono possedere al 31 dicembre del 2021.

Naturalmente, si tratta di un’uscita flessibile dal lavoro e, quindi, presenta qualche limite che potrebbe disincentivare alcune donne lavoratrici ad accedervi. 

In primo luogo, dobbiamo menzionare il meccanismo di calcolo: viene utilizzato il calcolo contributivo e non retributivo. Il calcolo contributivo è più svantaggioso perché viene effettuato soltando sui contributi versati; in questa maniera, si va a percepire un assegno pensionistico minore.

In secondo luogo, bisogna tenere presente la decorrenza dell’assegno. Per le lavoratrici dipendenti, l’erogazione dell’assegno pensionistico avviene dopo un anno; mentre, le lavoratrici autonome dovranno attendere diciotto mesi.

Come si presenta la domanda per accedere ad Opzione Donna? La domanda, aggiornata, deve essere presentata all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, tramite i servizi telematici. In alternativa, è possibile recarsi presso Patronati o utilizzare il servizio di Contact Center.

Per quanto riguarda il personale scolastico in possesso dei requisiti, è possibile accedere a Opzione Donna dal 1° settembre 2022; mentre, per le lavoratrici degli Istituti AFAM, è possibile accedervi a partire dal 1° novembre del 2022.

L’Inps ha pubblicato, sul proprio portale, il messaggio n. 169, il 13 gennaio 2022, nel quale fornisce tutte le istruzioni sulla proroga.

Sondaggi Politici: il PD in testa sul centrodestra!

Siamo ormai due settimane all’interno del 2022, e la situazione rispetto al 2021 sembra essere cambiata davvero di poco. Se, infatti, un anno fa guardavamo al 2021 con speranza, ormai sembra che ci siamo tutti rassegnati ad un altro anno di pandemia, vaccini e crisi

La tremenda pandemia di Covid-19, che ormai fa parte delle vite di tutto il mondo da due anni, non sembra intenzionata a recedere. Anzi, nonostante i vaccini ed i paesi civilizzati arrivati ormai alla terza dosei numeri di contagi continua a rompere ogni record, ed il numero di morti, per quanto inferiore all’anno scorso, non è certo rassicurante. 

L’immunità vaccinale, comunque, sembra funzionare. Sebbene sia minata dalla nuova variante, Omicroni nuovi casi non sembrano subire la malattia in modo grave quanto i non vaccinati, i quali invece hanno ancora bisogno di serie cure sanitarie e continuano ad occupare tristemente le terapie di tutto il paese (e del mondo). 

Altro motivo per cui questo 2022 sembra terribilmente simile al 2021 è il cambiamento di colore delle regioni. Se fino a qualche mese fa ci aspettavamo che il lockdown fosse appena un vago ricordo, oggi il rischio di alcune regione di entrare in zona rossa è seriamente concreto

In zona rossa si entra sostanzialmente in un regime di lockdown completo, in cui è possibile uscire solamente per strette necessità e non si può neanche uscire dal proprio comune di residenza. 

Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, ha detto questo riguardo il rischio di entrare in zona rossa:

A meno di ‘iniezioni’ di posti letto dell’ultima ora o di modifica dei criteri per classificare i pazienti Covid ospedalizzati, entro fine mese numerose regioni andranno in zona arancione e qualcuna rischia la zona rossa. Un colore che certificherebbe il fallimento nella gestione della quarta ondata, nonostante la disponibilità di vaccini molto efficaci nel prevenire la malattia grave.

Ma infine, per noi italiani in particolare, c’è una ragione precisa per cui il 2022 sembra così simile al 2021. La nostra politica, che di certo è tutto tranne che stabile è di nuovo in subbuglio

Sicuramente ne avrete sentito parlare, ma esattamente cosa sta succedendo? E perché? Vediamolo insieme.

Sondaggi politici: un nuovo Primo Ministro?

Teoricamente, la legislatura attuale finirà nel 2023, ovvero a più di un anno da qui, ma sappiamo bene che la politica italiana gioca scherzi molto divertenti, soprattutto quando il premier in carica potrebbe doversi… assentare.

Mario Draghi, attuale Primo Ministro, è infatti in lizza per diventare il nuovo Presidente della Repubblica. Sergio Mattarella, colui che ricopre la carica al momento, sgombrerà il Quirinale molto presto e a fine mese ci saranno le nuove elezioni. 

Fra i tanti candidati papabili, Mario Draghi è uno di quelli. Ciò significa che bisognerebbe trovare un nuovo Primo Ministro, impresa alquanto ardua con una maggioranza così frammentata. Lo stesso Draghi, d’altronde, era stato selezionato in quanto tecnico, non affiliato a nessun partito ed in grado di mettere d’accordo tutti.

L’opzione elezioni anticipate, per quanto improbabile, non è quindi da escludere completamente. Se non si trovasse un sostituto di Draghi gli italiani saranno chiamati a votare, e poi chissà cosa succederà. 

Per questo motivo, nelle ultime settimane si sono svolti moltissimi sondaggi politici per capire cosa potrebbe scegliere l’elettorato italiano in caso di chiamata alle urne. 

Vediamo insieme, dunque, alcuni di questi sondaggi e quali sono stati i loro risultati. 

Se, prima, siete curiosi di sapere come si elegge un Presidente della Repubblica, vi linkiamo un video informativo a riguardo di Why Why.

Sondaggi politici: PD sopra la Lega

Vi ricordate quando la Lega era data come primo partito d’Italia appena un anno fa? Esattamente il 13 gennaio 2020, infatti, veniva diffuso un sondaggio che percepiva il 32.4% di consensi per la Lega di Matteo Salvini

Secondo quei sondaggi politici, PD e Fratelli d’Italia (guidato da Giorgia Meloni) erano sostanzialmente partiti di secondo piano, con rispettivamente il 18.4% ed il 10.4%. 

Se Matteo Salvini avesse giocato bene le sue carte, sarebbe potuto persino diventare Primo Ministro. La crisi del governo Conte 2, infatti, aveva visto perdenti M5S e PD nei giochi di potere parlamentari. Matteo Renzi aveva infatti tolto importanti voti per supportare la maggioranza, che quindi era crollata.

La Lega svettava come primo partito, ma Salvini non colse l’occasione dando il suo supporto, così come il resto del suo partito, a Mario Draghi.

Oggi, questo scenario è solamente un pallido ricordo. Fra alleanze rischiose e scivoloni mediatici, l’immagine di Matteo Salvini non si è più ripresa ed anzi è in costante calo

Oggi, secondo i nuovi sondaggi politici, la Lega sarebbe al 19%, un calo del 13% di consensi in un anno, pari ad oltre 4.5 milioni di elettori

Lo scandalo che ha forse condannato la Lega è stato quello legato a Luca Morisi. Il membro più vicino a Matteo Salvini, nonché ideatore di buona parte della sua campagna social, era stato scoperto al centro di un giro di festini, droghe ed escort, che aveva poi portato al suo arresto. 

Matteo Salvini, colto in fallo, aveva rivelato quanto Morisi fosse importante per lui, dichiarando spesso che l’avrebbe persino riportato nelle fila del partito se fosse stato possibile. In un’intervista a La7, ad esempio, il Capitano aveva dichiarato:

Se vuole può tornare a lavorare con me anche subito. Io non amo quelli che abbandonano gli amici o i colleghi nel momento della difficoltà. Anzi è nella difficoltà che emergono non i politici, ma le persone. Morisi è una bravissima persona massacrata per un mese sul nulla per attaccare me.

Riprendersi da una mazzata mediatica simile, specialmente per un partito conservatore come la Lega, non è di certo facile ed è probabilmente parte dei motivi per cui la Lega sta costantemente perdendo consensi

Persino Giorgia Meloni, il cui partito aveva ben venti punti percentuale in meno della Lega, ha adesso sorpassato Salvini, conseguendo un incredibile 19.9% nei sondaggi politici. 

Insomma, se si dovesse andare a elezioni anticipate (ma anche in vista delle generali l’anno prossimo) difficilmente vedremo Matteo Salvini premier in quanto non sarà probabilmente più leader di maggioranza

A quale partito spetterà questo ruolo, tuttavia, è ancora un’incognita. I sondaggi politici, tuttavia, ci danno una mano ad intuirlo. 

Sondaggi politici: PD primo partito

Secondo i sondaggi di SGW per La7il primo partito in Italia al momento sarebbe il PD, che, se si dovesse votare domani, prenderebbe circa il 22.2% dei voti

Certo, non è una maggioranza tale da poter stare sicuri per le prossime elezioni. D’altronde, se la Lega è scesa di 13 punti in un anno, lo stesso potrebbe accadere anche al PD

L’ex compagno di merende del PD, il Movimento 5 Stelle, è anch’esso colato a picco nei sondaggi. Secondo Euromediail partito di Beppe Grillo avrebbe oggi il 14.8% dei consensi, neanche sufficiente per un’eventuale coalizione con il PD.

Oggettivamente, però, nessun partito sembra avere una presa sul paese tale da poter consentire una coalizione sicura. La scelta di un eventuale premier, quindi, sarebbe estremamente combattuta.

Si potrebbe nuovamente scegliere l’opzione governo tecnico, vista anche la grande popolarità di Mario Draghi. Secondo i sondaggi, l’attuale premier sarebbe popolare fra il 70% degli italiani, un numero incredibile soprattutto vista l’instabilità tipica italiana della posizione di Primo Ministro. 

A seguirlo nei sondaggi, inoltre, una grande sorpresa: Giuseppe Conte sarebbe il secondo favorito con una popolarità del 50%. Sebbene, dunque, il suo partito sia così in basso nei sondaggi, Conte non sembra aver perso un briciolo del suo appeal. 

Giorgia Meloni ed Enrico Letta vengono dopo, entrambi con circa il 40% dei consensi e, infine, all’ultimo posto siede Matteo Salvini, con una popolarità del 36%

I partiti di centro-sinistra, dunque, riconfermano la loro strategia di puntare meno sul “leader” e più sul simbolo del partito stesso, e viceversa i partiti di centro-destra.

Infine, per quanto riguarda i partiti minori, Azione di Calenda è al momento quello più apprezzato degli italiani, con una percentuale nei sondaggi politici del 4.1%.

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Sondaggi politici: le priorità per gli italiani

Ma ovviamente la politica non è (o non dovrebbe essere) tutta fatta di partiti e leader. Servono anche i fatti per governare il paese.

Ed è questo un altro elemento che i sondaggi politici in questione hanno cercato di capire: quali sono le priorità per gli italiani?

Secondo un articolo di TPI.it, che riporta proprio i risultati di questi sondaggi, le priorità si elencano in questo modo:

Per il 31,6%, in questo momento l’esecutivo dovrebbe concentrarsi sull’emergenza sanitaria e il contrasto all’infezione. Per il 19,3%, invece, è più importante il tema del lavoro e della disoccupazione, per il 16,9% del campione il governo dovrebbe concentrare i suoi sforzi sulla ripresa economica. Per l’11% la preoccupazione principale del Paese in questo momento dovrebbe essere la riduzione delle tasse, e solo per il 2,4% dovrebbe riguardare invece la scuola.

Svetta dunque, nuovamente, la pandemia di Coronavirus che, come accennavamo all’inizio non smette di soffocare l’economia e la vita del paese. Buona parte degli italiani, però, è evidentemente stufa della situazione e ciò è particolarmente evidente dal sondaggio

Se quasi il 20% dei partecipanti reputa più importante il lavoro e la disoccupazione, ed un ulteriore 16% preferirebbe concentrarsi sulla ripresa, è evidente che nella mente di molti la pandemia sia ormai diventata parte della vita quotidiana: l’ennesimo evento negativo con cui bisogna convivere. 

Ovviamente, se la pandemia sia effettivamente divenuta “endemica”, ovvero stagionale come altre comuni malattie, spetta agli scienziati deciderlo. Per il momento, sarebbe sempre bene seguire le norme igienico-sanitarie pur con un occhio al futuro per riprendere a vivere in modo più o meno normale presto. 

Forse per questo motivo il 69.9% dei partecipanti è a favore dell’obbligo vaccinale per gli over 50. La vaccinazione, d’altronde, è il modo più veloce che conosciamo per arrestare la diffusione mortale del virus. 

Busta paga 2022, detrazioni e ANF addio! Ultimissime novità

Busta paga decisamente più magra per tutti i lavoratori dipendenti, del settore pubblico e privato, a partire da marzo 2022. Scompaiono infatti le detrazioni per figli a carico e quindi si vanno a ridefinire le aliquote Irpef.

Una fase di passaggio che si concluderà alla fine del prossimo mese, considerando anche l’entrata in vigore dell’assegno unico e universale a partire dal 1° marzo. Quest’ultimo però non va in busta paga, bensì si tratta di un sostegno economico alla genitorialità erogato con bonifico distinto e separato da parte dell’Inps e calcolato in base all’Isee.

Come tutti i momenti di transizione, è bene informarsi e restare aggiornati in maniera tale da poterlo gestire con attenzione, dal momento che, prima dell’assestamento dei mesi successivi, si potrebbe incorrere in un calo temporaneo delle proprie entrate economiche, nel corso del mese di marzo.

Ecco a seguire dunque tutte le ultime novità in merito sia agli assegni al nucleo familiare che alle detrazioni per figli a carico e infine ai bonus in busta paga per il 2022.

Busta paga da gennaio 2022, novità

Diversi sono stati i cambiamenti ai quali abbiamo assistito in questi ultimi tempi. Da quando la pandemia ha stravolto le nostre vite, ogni aspetto della quotidianità ha subito delle ripercussioni negative.

Se da una parte in tanti purtroppo sono rimasti senza lavoro, dall’altro assistiamo all’introduzione di una delle più grosse novità, nel panorama del welfare alle famiglie, da parte dello Stato italiano: l’assegno unico e universale.

È universale perché per la prima volta contempla un contributo economico anche per i figli dei disoccupati e per quelli dei titolari di partite Iva. Si tratta di categorie di persone che hanno già ricevuto i primi assegni, a partire dal mese di luglio 2021.

La novità di quest’anno 2022 sta nel fatto che per l’appunto, la misura si estende anche ai lavoratori dipendenti, che a ogni modo continueranno a percepire gli assegni al nucleo familiare (ANF) fino all’entrata in vigore dell’assegno unico, a partire da marzo.

Cosa cambia in busta paga 2022 

Le novità scattano già a partire da gennaio per poi arrivare a marzo con l’introduzione dell’assegno unico.

Questo è un passaggio molto importante. Cosa significa?

La busta paga diventa più leggera, dal momento che spariscono gli assegni per il nucleo familiare e le detrazioni fiscali per i figli a carico.

Questa perdita si compensa grazie al bonifico previsto mensilmente per l’assegno unico, il cui importo è da calcolare in base a quanto riportato nell’attestazione Isee. Tale richiesta, per ottenere l’assegno erogato direttamente dall’Inps, va presentata però in autonomia. Quindi non si riceve in automatico ma è il diretto interessato che deve provvedere a presentare la domanda.

In un articolo già pubblicato sul tema, abbiamo illustrato le modalità di richiesta dell’assegno unico. Rimandiamo dunque a tale lettura, per maggiori approfondimenti sull’argomento.

Il problema che potrebbe verificarsi sta proprio nei parametri differenti da prendere in considerazione, ai fini del calcolo. Infatti, fino a ora questo avveniva in base al reddito ai fini fiscali mentre ora fa fede l’attestazione Isee. Nella maggior parte dei casi si assisterà a uno scostamento e purtroppo non sempre sarà positivo e a vantaggio del contribuente.

Perlomeno queste sono le proiezioni di Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, come riportato dalle sue affermazioni al riguardo.

Assegni al nucleo familiare e detrazioni figli a carico: differenze

Cogliamo l’occasione, per un’informazione consapevole, di illustrare quali sono le differenze che intercorrono tra assegni al nucleo familiare e detrazioni fiscali per i figli a carico.

Innanzitutto, si tratta di due benefici in favore del nucleo familiare interessato, che però nulla hanno a che vedere l’uno con l’altro.

Questo, in particolar modo, significa che, nel caso di errore di calcolo sulle detrazioni per figli a carico (per sbaglio potrebbero risultare superiori al 100%, se mal ripartite tra i genitori), si è tenuti a restituire la quota di denaro in eccesso di cui si è potuto beneficiare grazie alle detrazioni, ma che nulla ciò ha a che vedere con l’importo ricevuto invece per gli assegni familiari.

Questo perlomeno fino a quando tutte queste misure di sostegno alla genitorialità non verranno assorbite dall’assegno unico, a partire da marzo 2022, per quanto concerne le buste paga dei lavoratori dipendenti.

È l’Inps che eroga l’assegno familiare direttamente sulla busta paga di un genitore, con un calcolo in funzione sia della composizione del nucleo familiare che del reddito. L’assegno va ai figli minorenni e va richiesto in autonomia ogni anno, in quanto non si accredita in automatico in busta paga.

Per quanto concerne invece le detrazioni fiscali per i figli a carico, il funzionamento è differente. Si tratta infatti di un’agevolazione che permette di abbassare l’imponibile Irpef e quindi il calcolo delle tasse da pagare. 

Le detrazioni per figli a carico vanno oltre la maggiore età, a differenza degli assegni per il nucleo familiare. Nella fattispecie, è possibile continuare a beneficiare delle detrazioni fiscali fino al compimento dei 24 anni di età del figlio, se quest’ultimo non guadagna più di 4 mila euro all’anno. A partire dai 25 anni, il familiare è a carico fiscalmente soltanto se non percepisce più di 2841,51 euro all’anno.

L’assegno unico non va in busta paga!

Cosa succederà dunque, a partire da marzo 2022 in busta paga, quando l’assegno unico racchiuderà sotto lo stesso cappello tutti questi vantaggi fiscali ed economici?

Per quanto riguarda le detrazioni fiscali, queste spariranno dalla busta paga ma solo fino ai 21 anni (limite massimo di erogazione dell’assegno unico). In seguito, al momento in cui il figlio compie i 21 anni di età, il genitore potrà beneficiare nuovamente delle detrazioni fiscali fino al compimento del 24° anno di età, ma solamente se per l’appunto il figlio non supera la soglia annua di guadagno prevista, al di sopra della quale il genitore perde il beneficio.

Dopo i 24 anni di età non si ha più diritto alla detrazione fiscale per figlio a carico, a meno che non percepisca meno di 2841,51 euro annui.

Gli assegni familiari così come concepiti fino ad ora spariscono anch’essi dalla busta paga, pertanto il netto a partire da marzo 2022 sarà inferiore per tutti. Questo appunto per il fatto che l’assegno unico non va in busta paga.

Infatti bisogna rivolgersi direttamente all’Inps per espletare la procedura e ottenere così il bonifico sul proprio conto corrente, ogni mese. In base all’attestazione Isee aggiornata e in corso di validità da allegare obbligatoriamente, l’Inps effettua in automatico i calcoli, reperendo gli altri dati direttamente dal codice fiscale del richiedente.

Gli importi variano sia a seconda del reddito ma anche del numero di figli presenti e in casi particolari, come quelli di disabilità ad esempio.

I datori di lavoro possono dare comunicazioni in merito ai loro dipendenti. In particolare, si specifica che, per continuare a percepire l’assegno per il nucleo familiare anche nel mese di marzo 2022 (al di fuori della busta paga), è indispensabile che sia il lavoratore a inoltrare la richiesta entro e non oltre la fine di gennaio 2022.

A loro volta i lavoratori, per poter procedere con l’inoltro della domanda all’Inps e ottenere l’assegno unico, devono obbligatoriamente procurarsi un’attestazione Isee aggiornata al 2022 e in corso di validità. Abbiamo già approfondito l’argomento, in questo articolo dedicato all’Isee 2022.

ARTICOLO

Bonus busta paga 2022

Taglio Irpef, detrazioni che spariscono (fino ai 21 anni di età), assegni familiari cancellati. Le novità 2022 riservate alla busta paga dei lavoratori dipendenti non sono poche, come abbiamo avuto modo di presentare nel corso di questo articolo.

E per quanto riguarda i bonus, quali sono i cambiamenti?

Il noto bonus 100 euro altrimenti detto ex bonus Renzi è stato prorogato. Anche in questo caso però ci sono delle modifiche da attuare, visto il nuovo sistema previsto per le aliquote Irpef.

Innanzitutto, per ottenere i complessivi 1.200 euro in più all’anno, il tetto massimo del reddito è stato drasticamente abbassato. Se prima l’integrazione era prevista fino a 28 mila euro di reddito annuo, ora solo chi guadagna meno di 15 mila euro potrà beneficiare dei 100 euro in più in busta paga.

La modifica che ha interessato le aliquote Irpef, fa sì che queste ultime passino da cinque a quattro. Quindi:

Alla luce di tutte queste informazioni, appare alquanto evidente che non sono pochi i cambiamenti a cui i lavoratori assisteranno nel 2022, relativamente alla loro busta paga. Il bonus 100 euro, ricordiamo, spetta anche a chi percepisce la Naspi.

Ciò che non cambia, a proposito di bonus 100 euro in busta paga anche per tutto il 2022, è il fatto che formalmente si tratta di un credito d’imposta, che però si concretizza in 100 euro in più sul netto della busta paga. Ciò che è da sottolineare inoltre è che l’ex bonus Renzi non concorre alla formazione del reddito ed erogato direttamente dal datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta.

Vale la pena ricordare che l’accredito dei 100 euro avviene in via automatica, insieme allo stipendio. Il lavoratore può scegliere di ottenere il beneficio mese per mese oppure formulare esplicita rinuncia, così da avere la somma spettante in un’unica soluzione. Questo può avvenire sia a fine anno oppure in fase di dichiarazione dei redditi annuale.

Durc: tutto quello che c’è da sapere!

A tutti è capitato almeno una volta al giorno di sentire abbreviazioni o sigle riferite a documenti o enti a cui rivolgersi.

Riuscire a tenere a mente ognuna di queste sigle è spesso molto difficile e Internet in questo ci viene in aiuto se non ne ricordiamo una specifica.

Oggi vediamo insieme cos’è il DURC,il Documenti Unico di Regolarità Contributiva, a cosa serve, chi deve richiederlo e tutte le informazioni utili che possono servire ai cittadini.

DURC: cos’è e a cosa serve

DURC come abbiamo detto è l’acronimo del Documento Unico di Regolarità.

Questa sigla indica la documentazione che deve essere presentata dalle imprese e dai lavoratori autonomi per attestare la loro regolarità contributiva nei confronti degli enti provvidenziali, quali possono essere INAIL o INPS o altre diversi istituti e Casse previdenziali.

Importante è sapere che dal 1° luglio 2015 esiste una nuova procedura semplificata per il rilascio di questo documento, che permette alle imprese tramite un solo click online di ottenere in tempo reale questo documento.

Infatti il Ministero Del Lavoro e delle Politiche Sociali con tutti gli istituti previdenziali e le Casse Edili, hanno indirizzato tutti i loro sforzi verso l’informatizzazione della procedura di rilascio.

L’informatizzazione del servizio ha portato dunque un risparmio di tempo e denaro per le imprese italiane ma non solo. 

Prima, un’azienda qualsiasi in regola sotto il profilo contributivo, doveva attendere anche un mese per ottenere questo documento che dimostrasse la regolarità della sua posizione contributiva, tramite una procedura complessa, spesso delegata a figure intermediarie. Adesso è possibile ottenerlo subito, ha una scadenza di 120 giorni e nel caso in cui vi fossero delle carenze retributive, entro 72 ore queste ultime vengono comunicate per poter regolarizzare la posizione fiscale nel più breve tempo possibile, ottenendo subito dopo il DURC.

La richiesta del DURC consente di attestare la regolarità della propria posizione previdenziale, contributiva e assistenziale per ottenere: 

  • sovvenzioni, 
  • contributi, 
  • ausili finanziari,
  • vantaggi economici di vario genere.

Per la richiesta del DURC è possibile rivolgersi ad uno solo dei siti istituzionali di riferimento:

a seconda di quello di riferimento.

Il DURC, la cui validità massima abbiamo detto essere di 120 giorni, è un documento indispensabile per:

  • contratti pubblici;
  • appalti pubblici per opere, servizi o forniture di beni;
  • lavori di edilizia privata dove è previsto l’obbligo della DIA (la Dichiarazione di Inizio Attività) o la PAC (il Permesso A Costruire);
  • per agevolazioni contributive;
  • per agevolazioni in materia di legislazione sociale o di lavoro;
  • gestione di servizi ed attività pubbliche in convenzione o concessione;
  • fruizione di benefici nominativi e contributivi concessi da Enti nazionali o internazionali, diversi da INPS e INAIL;
  • rilascio dell’attestazione SOA (Società di Attestazione Aziendali);
  • finanziamenti e sovvenzioni per la realizzazione di investimenti previsti dalla normativa comunitaria o da altre normative specifiche;
  • iscrizione all’Albo dei fornitori.

Per poter effettuare l’accesso sui siti istituzionali e richiedere il documento è necessaria l’autenticazione tramite credenziali valide rilasciate dall’utente.

DURC: come richiederlo tramite l’INPS?

Vediamo le procedure per entrambi gli enti nominati adesso.

Le pubbliche amministrazioni e le SOA possono fare accesso al sito dell’INPS con le credenziali ricevute.

Imprese e lavoratori, o i loro delegati, possono accedere con il PIN. Le banche e gli intermediari finanziari necessitano di delega per l’accesso.

Come abbiamo detto, per richiedere il DURC tramite il sito INPS è necessario identificarsi e richiedere un PINPer poter chiedere il PIN è necessario entrare nell’area dedicata presente sul sito:

  • cliccare su “Richiedi Pin
  • inserire codice fiscale e scegliere tra la residenza italiana o estera;
  • compilare la richiesta con i propri dati anagrafici;
  • inviare la domanda.

Una volta ottenuto il PIN è possibile accedere al servizio di richiesta per il DURC online:

  • cliccare su “Accedi ai servizi” presente nella homepage del sito dell’INPS;
  • cliccare la voce “Elenco di tutti i servizi”;
  • cliccare su DURC online;
  • scegliere il proprio profilo a seconda del tipo di soggetto richiedente;
  • inserire il PIN e premere selezione;
  • inviare la richiesta.

Se nell’archivio non risulta nessuna irregolarità contributiva, il sistema rilascerà in automatico un file in PDF denominato DURC online.

Il periodo di validità a seconda dell’oggetto della richiesta, fino ad un massimo di 120 giorni.

Non è possibile richiedere un altro DURC in questo lasso di tempo ma si fa riferimento al precedente finchè non scade.

DURC: e se voglio richiederlo all’INAIL?

La procedura di richiesta dell’INAIL è molto simile alla precedente.

In questo caso è necessario autenticarsi sul portale INAIL sempre previa richiesta del PIN di riferimento.

La procedura da seguire è molto semplice:

  • accedi al sito INAIL con nome utente e password;
  • inserisci l’indirizzo di posta elettronica certificata, la PEC, dell’azienda;
  • clicca sul tasto “esegui controllo regolarità”
  • attendere l’elaborazione della procedura che può richiedere diversi minuti;
  • cliccare su “visualizza documento di regolarità”.

Anche in questo caso, ad essere rilasciato è un file in estensione PDF ed è il tuo DURC.

Ovviamente, sia se la richiesta sia fatta tramite INPS o tramite INAIL, può capitare che venga prodotto un documento riconosciuto come irregolare.

In questo caso le possibilità sono due:

  • il sistema non è stato aggiornato;
  • esiste una effettiva irregolarità di carattere assistenziale, previdenziale o contributivo.

Se si è sicuri di non avere nessun tipo di irregolarità, si consiglia di contattare gli uffici dell’ente scelto per chiedere l’aggiornamento del sistema.

Nel secondo caso invece per ottenere una documentazione valida, è necessario regolarizzare la propria posizione chiedendo indicazioni specifiche all’ente preposto scelto.

Il richiedente ha 30 giorni per regolarizzare la propria posizione rispetto all’interrogazione fatta. Allo scadere dei 30 giorni il documento rilasciato avrà esito negativo e verranno indicati gli importi a debito e le cause dell’irregolarità.

La presentazione di un DURC negativo può comportare:

  • perdita dell’aggiudicazione della gara d’appalto;
  • impossibilità a stipulare contratti di appalto o subappalto;
  • mancata ricezione del pagamento dei SAL o delle liquidazioni finali.

Risulta anche vero però che vale la regola del “silenzio assenso” per INPS e INAIL.

Il Durc deve essere necessariamente rilasciato entro 30 giorni.

Trascorso questo termine senza risposta dall’INPS o dall’INAIL scatta direttamente il silenzio assenso e non è più necessario aspettare il documento.

Ciò non vale per le Casse Edili, per cui la procedura è diversa e che dovrà comunque emettere il DURC sulla base della verifica effettuata da anche uno solo degli enti che hanno espresso il giudizio di regolarità o irregolarità, sempre che non ci sia una sospensione dell’istruttoria che comunque non può eccedere di ulteriori 10 giorni. 

DURC e DOL: sono la stessa cosa?

Come abbiamo detto, tutte queste sigle a volte possono confondere.

Nel 2015, grazie all’informatizzazione del DURC e alla possibilità di poter richiedere tutto online, si è passati a parlare spesso di DOL e cioè DURC ON LINE con l’introduzione del D.M. 30/10/2015.

Ma cosa contiene il DURC o il DOL?

Questo documento, che si presenta sottoforma di PDF, non può essere modificato e contiene:

  • dati identificativi del soggetto richiedente la verifica, come codice fiscale, denominazione o ragione sociale e sede legale;
  • iscrizione ad INPS, INAL o Casse Edili;
  • dichiarazione di regolarità;
  • numero identificativo, data della verifica e data di cessazione della validità del documento.

La delega per il DURC

Un lavoratore o un’azienda può decidere di delegare ad altri l’operazione, come ad esempio direttamente consulenti del lavoro o banche.

In questo caso i delegati possono accedere al servizio solamente tramite il portale INPS con il PIN che viene fornito loro dopo che viene fatta la domanda di delega del DOL.

Ogni persona fisica può rilasciare in ogni caso più deleghe che saranno tutte visibili al delegato al momento dell’accesso al servizio.

Ci sono siti su cui è possibile acquistare il servizio di inoltro della pratica al centro servizi più vicino al cliente.

Il costo medio di questa pratica si attesta sui 30 euro circa o se si richiede una priorità anche fino a 50 euro circa.

Molti siti propongono anche un abbonamento che consente di avere il DURC sempre aggiornato per circa un anno, con un risparmio economico, poichè ogni 4 mesi verrà prodotto un nuovo DURC a circa 20 euro a DURC.

DURC e DURF: qual è la differenza?

A volte è possibile anche che venga richiesto il DURF.

Quando si parla di DURF fiscale si intende il certificato di sussistenza dei requisiti previsti dal comma 5 dell’art. 17-bis.

Questo documento, a differenza del DURC, è rilasciato dall’Agenzia delle Entrate e consente di controllare che le imprese appaltatrici siano in possesso di specifici requisiti richiesti relativamente agli appalti superiori ai 200.000 euro.

Questo documento si presenta come una sicurezza in più rispetto alle imprese coinvolte, tra committenti, appaltatrici e subappaltatrici siano in regola con i pagamenti delle tasse.

Questo documento viene rilasciato dall’Agenzia delle Entrate in base alla sede legale dell’impresa, ha validità di 4 mesi dal rilascio ed è esente dal versamento dell’imposta di bollo.

Il DURF è possibile trovarlo disponibile anche nel proprio cassetto fiscale. Inoltre, è possibile integrare una procedura che consenta di richiederlo e ottenerlo in maniera automatica senza doverlo richiedere ogni volta che serve.

In generale, il DURC già dal Governo Renzi, porta con sè una serie di rimaneggiamenti preannunciati ed è bene quindi ogni volta che serve farne richiesta, informarsi che le norme in merito non siano cambiate.

Esiste infatti la possibilità che il DURC venga sostituito o cancellato dagli adempimenti a carico delle aziende.

Ad oggi però non è ancora chiaro quale possa essere l’indirizzo normativo in tal senso.

Covid e zona gialla: le regole in vigore dal 10 gennaio!

Dal 10 gennaio il Governo Draghi ha messo in campo numerose restrizioni e regole per fronteggiare questo instancabile aumento dei casi di Covid-19.

Questo incremento si è sviluppato a ridosso delle feste natalizie, nel mese di dicembre, e sembra non volersi più fermare.

Le misure che ha adottato il governo riguardano tutti gli ambiti e vanno ad inficiare anche su quei posti, che, finora, non erano stati mai toccati né menzionati dal governo in precedenza.

Le regole che entreranno in vigore, a partire dal 10 gennaio, quindi, riguardano l‘obbligo di possedere il super green pass se si intende:

Usufruire dei mezzi di trasporto, se si va nelle palestre, nelle piscine, negli alberghi e nelle strutture ricettive, nei bar e nei ristoranti, negli impianti sciistici e nella attività ed eventi culturali e ricreativi.

Il super green pass non si può più ottenere anche con il tampone, cosiddetto rapido, come succede per avere il green pass, ma si avrà bisogno solo ed esclusivamente della somministrazione del vaccino o della guarigione dal Covid-19, entro i 6 mesi.

Da pochi giorni, anche i bambini e i ragazzi possono ricevere la somministrazione della terza dose di vaccino, per cui è obbligatorio che questi la facciano se vogliono accedere ai servizi di cui abbiamo fatto accenno in precedenza.

Inoltre, il Governo Draghi ha deciso, a partire dal 1° febbraio, per l’obbligo di vaccinazione di quei soggetti che abbiano compiuto i 50 anni di età, pena la previsione di una sanzione in denaro di ammontare pari a 100 euro.

Un’altra regola che è stata ripristinata, con un iniziale grande stupore da parte di tutti, è stata quella dell’obbligo di indossare la mascherina, non soltanto nei luoghi chiusi, ma da adesso anche all’aperto.

In alcune circostanze, inoltre, il governo prevedere l’obbligo di indossare la mascherina FFP2 per accedere in alcuni posti.

Queste regole imposte dal Governo Draghi resteranno, fino a nuovo avviso, in vigore fino al momento in cui finirà lo stato di emergenza, la cui scadenza è prevista per il 31 marzo 2022.

In buona sostanza, queste regole dettate dall’esecutivo si possono tradurre in un lockdown per quei soggetti che non si sono fatti somministrare il vaccino.

Al di là di questi cambiamenti che sono entrati in vigore ed altri che ancora dovranno farlo, in Italia c’è ancora la divisione a zone, per individuare il tasso di rischio appartenente a ciascuna regione.

Questa divisione a zone è diventata ormai praticamente inutile, perché priva di quelle grandi differenze che esistevano fino a qualche tempo fa, prima che venissero stilate dal Governo Draghi queste nuove regole, le quali entreranno in vigore tra il 10 gennaio e il 1° febbraio.

Il cambio di colore di una regione dipende dal numero dei positivi sul numero degli abitanti, dal tasso di occupazione dei reparti ordinari e dal tasso si occupazione delle terapie intensive di quei pazienti che sono affetti da Covid-19.

Dal 10 gennaio 2022 quasi tutte le regioni italiane sono entrate in zona gialla. Poche sono le cose che cambieranno.

Continua a leggere l’articolo per conoscere tutto ciò che riguarda la zona gialla e le sue regole.

Inizialmente, potrai scoprire quali sono le soglie previste dal governo, sui dettami dell’Istituto Superiore della Sanità, per entrare in zona gialla e quali sono le differenze che intercorrono tra questa e la zona bianca.

Successivamente, andremo a vedere quando serve il super green pass in zona gialla e le regole relative a:

  • Spostamenti;
  • Scuola;
  • Bar e ristoranti;
  • Negozi e servizi alla persona;
  • Palestre e piscine;
  • Alberghi, strutture ricettive, terme e centri benessere;
  • Impianti sciistici;
  • Attività ed eventi culturali;
  • Discoteche.

Infine, per concludere, andremo a parlare delle regole che entreranno in vigore dal 10 gennaio.

Zona gialla regole Covid: quali sono le soglie per entrarci?

Il primo argomento sul quale ci soffermeremo in questa breve guida è quello relativo alle soglie previste oltre le quali una regione entra in zona gialla.

Nello specifico, ecco quali sono i parametri stabiliti, oltre i quali il governo considerata superata la soglia di sicurezza, e manda la regione in questione in zona gialla:

  • 50 casi di positività al Covid-19, ogni 100.000 abitanti;
  • Tasso di occupazione dei reparti ospedalieri, adibiti alla cura del coronavirus, del 15%;
  • Tasso di occupazione dei reparti di terapia intensiva del 10%.

Zona gialla regole Covid: differenze con la zona bianca!

Dopo aver visto quali sono le soglie oltre alle quali le regioni rischiano di entrare in zona gialla, andiamo adesso a vedere quali sono le differenze e le analogie che intercorrono tra questa e la zona bianca.

Il passaggio dalla zona bianca alla zona gialla, alle regole attuali, non implica quasi nessun cambiamento per i cittadini.

Le uniche due variazioni sono che, in zona gialla è previsto l’obbligo di mascherina anche negli spazi aperti e l’obbligo di possedere il super green pass per mangiare nei bar e nei ristoranti, anche all’aperto.

Ma gli ultimi decreti emanati dal Governo Draghi hanno annullato anche queste due variazioni, dal momento che in tutta Italia vige l’obbligo di indossare la mascherina all’aperto e, dal 10 gennaio, vige anche l’obbligo del super green pass per i bar e ristoranti, anche se all’aperto.

Gli altri obblighi li vedremo più in avanti, in maniera dettagliata, lungo il corso di questo articolo.

Zona gialla regole Covid: quando serve il super green pass?

Dopo aver parlato delle differenze tra le regole previste in zona gialla e quelle previste in zona bianca, passiamo adesso a vedere quando serve il super green pass.

Il super green pass si ottiene solo con la somministrazione della terza dose di vaccino oppure con la guarigione dal Covid-19 entro i 6 mesi.

Dal 10 gennaio entra in vigore l’obbligo di possedere il super green pass per accedere a molti luoghi e servizi.

Ecco qua sotto un elenco di questi:

  • Mezzi pubblici, sia di tipo locale che a lunga percorrenza;
  • Bar e ristoranti, sia al chiuso che all’aperto;
  • Palestre, piscine e ogni sport di squadra;
  • Alberghi e strutture ricettive;
  • Terme e centri di benessere;
  • Impianti sciistici;
  • Attività ed eventi culturali e ricreativi.

Zona gialla regole Covid: spostamenti

Con le nuove regole e restrizioni, ecco quali sono gli spostamenti che si possono effettuare solo con il possesso del super green pass:

  • Mezzi pubblici di trasporto locale;
  • Mezzi pubblici a lunga percorrenza (treni, aerei, navi);
  • Traghetti;
  • Autobus privati;
  • Taxi;
  • Noleggio con conducente (NCC).

Non sono invece vietati ai non vaccinati gli spostamenti tra una regione e l’altra.

Zona gialla regole Covid: scuola

Con le nuove regole e restrizioni, ecco cosa succede nel comparto scolastico.

Le regole sono diverse in base al tipo di scuola e al numero dei contagiati che ci sono.

Ecco quali sono le nuove regole negli asili nido:

  • Dal primo contagiato in classe, tutti in quarantena per 10 giorni.

Ecco quali sono le nuove regole nelle scuole primarie:

  • Al primo contagiato in classe, autosorveglianza e test antigenico il giorno stesso e dopo 5 giorni;
  • Dal secondo contagiato in poi, tutti in dad per 10 giorni.

Ecco quali sono le nuove regole nelle scuole secondarie, sia di primo che di secondo grado:

  • Al primo contagiato in classe, autosorveglianza e obbligo di indossare la mascherina FFP2;
  • Al secondo contagiato in classe, autosorveglianza e mascherina FFP2 per i vaccinati e, invece, dad di 10 giorni per i non vaccinati e per coloro che sono guariti dal Covid da 120 giorni;
  • Dal terzo contagiato in poi, tutti in dad per 10 giorni.

Zona gialla regole Covid: bar e ristoranti

Con le nuove regole e restrizioni, ecco dove si può consumare nei bar e nei ristoranti, solo con il possesso del super green pass:

  • Ai tavoli;
  • Al bancone;
  • All’aperto.

Zona gialla regole Covid: negozi e servizi alla persona

Da giovedì 20 gennaio, scatta l’obbligo di possedere il green pass per accedere a tutti i negozi e i servizi alla persona, come, per esempio, i parrucchieri e gli estetisti.

Zona gialla regole Covid: palestre e piscine

Dal 10 gennaio, scatta l’obbligo di possedere il green pass per accedere a tutte le palestre, le piscine ed in tutti quei luoghi dove si svolgono degli sport di squadra.

Zona gialla regole Covid: alberghi, strutture ricettive, terme e centri benessere

Con le nuove regole e restrizioni, ecco quali sono le strutture in cui si può andare solo con il possesso del super green pass:

  • Hotel;
  • Alberghi;
  • B&B;
  • Affittacamere;
  • Ostelli;
  • Terme;
  • Centri benessere.

Zona gialla regole Covid: impianti sciistici

Dal 10 gennaio scatta l’obbligo di possedere il super green pass per poter accedere a tutti i tipi di impianti sciistici, anche per quelli all’aperto.

Fino ad ora, invece, non era richiesto nessun certificato per accedere agli impianti sciistici all’aperto e, solamente, il green pass base per accedere a quelli al chiuso.

Zona gialla regole Covid: attività ed eventi culturali

Fino ad ora il super green pass era previsto per accedere a:

  • Cinema;
  • Teatro;
  • Concerti.

Dal 10 gennaio, invece, il super green pass sarà richiesto anche per le mostre e per i musei.

Zona gialla regole Covid: discoteche

Ad oggi, le regole sulle discoteche sono che queste resteranno chiuse fino al 31 gennaio.

Si aspettano ulteriori notizie per sapere che cosa succederà dal prossimo mese.

Covid: le regole in vigore dal 10 gennaio!

Ecco qua riassunte tutte le regole che entreranno in vigore a partire dal 10 gennaio 2022:

  • Diminuita da 5 a 4 mesi la data in cui si può ricevere la terza dose del vaccino;
  • Obbligo di vaccino per tutti gli over 50, a partire dal 1° febbraio, con sanzioni pecuniarie di 100 euro;
  • Super green pass per tutti gli over 50 sul posto di lavoro, a partire dal 15 febbraio;
  • Super green pass per mezzi di trasporto, bar, ristoranti, palestre, piscine, alberghi, strutture ricettive, terme, centri benessere, impianti sciistici, attività ed eventi culturali e ricreativi;
  • Green pass base per i servizi alla persona, come parrucchieri ed estetisti, a partire dal 20 gennaio;
  • Green pass base per accedere agli uffici pubblici, le poste e le banche, a partire dal 1° febbraio;
  • Niente green pass per andare al supermercato, negli alimentari, in farmacia, nelle edicole e nei servizi primari definiti essenziali.