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Dal 20/01 Green Pass per andare da parrucchiere ed estetista

Parte ufficialmente il countdown, poiché, tra meno di due giorni, scatterà l’obbligo di possedere il Green Pass di base per usufruire dei servizi per la persona

Insomma, chiunque volesse andare dal parrucchiere, dal barbiere e dall’estetista dovrà, fino al 15 giugno 2022, presentare un risultato negativo al tampone, che potrà essere sia antigenico, valido 48 ore, che molecolare, valido 72 ore. 

Tale obbligo sarà esteso, dal 1° febbraio 2022, per l’accesso negli uffici pubblici, come le banche, gli uffici di Poste Italiane, Inps e i Centri per l’Impiego. 

Andiamo a vedere più nel dettaglio cosa accadrà nei prossimi giorni secondo quanto è stato stabilito dal decreto-legge del 7 gennaio 2022

Green Pass obbligatorio (quasi) ovunque, le ultime

Con l’aumento dei contagi, dovuto soprattutto alla circolazione della nuova variante Omicron, il Governo ha deciso di adottare misure più severe per contenere la diffusione del virus.

Tra le nuove misure approvate abbiamo quella dell’obbligo vaccinale per gli over 50, dunque, per tutti i cittadini italiani, ma anche stranieri che risiedono in Italia, con più di 50 anni. 

Abbiamo, poi, dal 15 febbraio 2022, l’obbligo, sempre per gli over 50, di possedere il Super Green Pass, ottenibile unicamente con la guarigione dal virus e con la doppia dose di vaccino, sul luogo di lavoro. 

Dal 20 gennaio, poi, sarà obbligatorio presentare il risultato negativo a un test antigenico o molecolare all’ingresso dei saloni dei parrucchieri, dall’estetista o dal barbiere.

Tale obbligo di possedere il Green Pass di base per accedere ai servizi della persona sarà esteso dal 1° febbraio per accedere in uffici pubblici, banche, Centri per l’Impiego, Poste Italiane, Inps, ma anche negli esercizi commerciali, ovvero nei negozi e nei centri commerciali. 

Insomma, dal 20 gennaio 2022 per accedere ai servizi della persona i No-Vax dovranno effettuare obbligatoriamente un tampone, obbligo esteso dal 1° febbraio per accedere in tutti gli uffici pubblici e gli esercizi commerciali. Ricordiamo che tale obbligo resterà valido fino al 15 giugno 2022. 

Green Pass di Base, Super Green Pass e Green Pass Booster

Le certificazioni valide in Italia, ad oggi, sono tre e sono: il Green Pass di Base, il Green pass rafforzato e il Green Pass Booster

Con il primo dei tre intendiamo un certificato verde anti Covid-19 che viene rilasciato a seguito di un tampone antigenico, valido 48 ore, un tampone molecolare, valido 72 ore, dopo la somministrazione del vaccino o dopo la guarigione dal Covid-19.

Il Super Green Pass o Green Pass Rafforzato è un certificato verde anti Covid-19, che include unicamente la somministrazione del vaccino, con doppia dose, oppure la guarigione dal virus. Ad oggi, il Green Pass Rafforzato è valido 9 mesi, ma dal 1° febbraio la sua validità sarà ridotta a 6 mesi. Il Super Green Pass non viene rilasciato a chi effettua i tamponi, siano essi antigenici che molecolari.

Infine, il Green Pass Booster è una certificazione che viene rilasciata a tutti i cittadini italiani che effettuano la dose addizionale di vaccino a seguito del completamento del ciclo vaccinale primario.

Sul sito ufficiale governativo del Green Pass, inoltre, leggiamo a riguardo:

“Chi non ha ancora fatto la dose di richiamo potrà utilizzare il green pass da ciclo vaccinale primario completato o da guarigione, ma dovrà presentare contestualmente un documento, cartaceo o digitale, di un test antigenico rapido o molecolare, eseguito nelle 48 ore precedenti, che attesti l’esito negativo al SARS-CoV-2.”

Le regole in vigore dal 10 gennaio 2022 per il Green pass

Dallo scorso lunedì 10 gennaio 2022 il Super Green Pass dovrà essere esibito per effettuare l’accesso in: tutte le strutture ricettive e gli alberghi, ma anche nelle fiere, nei congressi e nelle sagre. 

Non è finita qui, poiché il Green pass Rafforzato, come è stato stabilito dal decreto-legge del 30 dicembre 2022 n. 229, sarà indispensabile anche per accedere alle feste successive alle cerimonie religiose e civili.

È, ormai, da una settimana che il Super Green Pass serve anche per accomodarsi in un ristorante, bar o pasticceria all’aperto, ma anche per praticare sport di squadra o per recarsi in centri benessere all’aperto. 

Il Super certificato verde anti Covid-19 è obbligatorio anche per entrare e svolgere le attività di centri culturali, centri sociali e centri ricreativi, oltre che per effettuare l’accesso ad impianti di risalita con finalità turistico-commerciale anche se situati in comprensori sciistici.

Infine, occorrerà esibire la super certificazione anche per salire a bordo di treni, aerei, navi, autobus, tram, metropolitane.

Super Green Pass, i Covid Party per ottenere il certificato

E mentre i contagi di coronavirus rimangono fissi oltre quota 100 mila, si pensi che solo ieri i positivi al Covid-19 erano 149.512 e i morti 248, c’è chi organizza delle vere e proprie feste o incontri con contagiati, per prendersi il virus e, successivamente, ottenere il Super Green Pass

No, non è uno scherzo, è quello che accade ormai da mesi, dall’introduzione del Super Green Pass, in tutta Italia

Alcuni cittadini, infatti, giocano alla roulette russa cercando di contrarre il Covid-19, incontrando gente positiva al virus o organizzando delle vere e proprie “feste” denominate Corona Party, o Covid Party. L’obiettivo? Evitare la somministrazione del vaccino e ottenere ugualmente il Super Green Pass. 

Nel report dell’Istituto Superiore della Sanità si legge che il tasso di ricovero nelle terapie intensive dei non vaccinati è pari al 26.7 ogni 100 mila

Secondo un’analisi dell’dall’Healthcare Datascience Lab dell’Università Carlo Cattaneo di Varese in collaborazione con l’azienda ospedaliera di Alessandria, i costi per curare un no-Vax, dunque, un soggetto contrario al vaccino, vanno dai 9 mila euro ai 22 mila euro.

Insomma, quello che noi ci auspichiamo è che il nostro Governo faccia qualcosa per intervenire e fermare queste “furbate”.

Tra i casi di Super Green Pass da contagio volontario vediamo il caso un noto motociclista italiano, Marco Melandri che, contrario al vaccino, ha voluto ottenere il certificato in un altro modo:

“Ho preso il virus perché ho cercato di prenderlo e al contrario di molti vaccinati ho fatto una fatica tremenda. L’ho fatto apposta per poter essere in regola almeno per qualche mese. Mi sono dovuto contagiare per necessità dovendo lavorare e non considerando il vaccino un’alternativa valida.”

Lo stesso Melandri, nelle giornate successive ha fatto retromarcia, dichiarando che quanto asserito non era altro che una “battuta”.

Super Green Pass, come prenotare il vaccino

Il vaccino anti covid-19 si potrà ottenere in tre modi differenti:

prenotando attraverso la piattaforma regionale online; in questo caso dovrete munirvi della vostra tessera sanitaria, poiché servirà il numero in basso a sinistra sul retro della stessa e il vostro codice fiscale.

Potrete, poi, chiamare il numero verde per le prenotazioni dei vaccini messo a disposizione dalla vostra regione di riferimento. Anche in questo caso servirà la tessera sanitaria.

Infine, potrete recarvi in farmacia e chiedere al personale medico di effettuare la prenotazione. Anche qui, servirà la tessera sanitaria.

Potrete, poi, recarvi in uno dei centri vaccinali che accoglie tutti i cittadini anche senza appuntamento, ma in questo caso, vi consigliamo di informarvi in anticipo. 

Secondo le ultime disposizioni del Ministero della Salute, la terza dose di vaccino, o dose booster, si potrà ricevere dopo 120 giorni dall’ultima somministrazione, dunque, dopo 4 mesi e non più cinque:

“Si rappresenta che la somministrazione della dose di richiamo (booster) a favore dei soggetti per i quali la stessa è raccomandata, con i vaccini e relativi dosaggi autorizzati, sarà possibile dopo un intervallo minimo di almeno quattro mesi (120 giorni) dal completamento del ciclo primario o dall’ultimo evento.”

E-commerce e Covid hanno cambiato le abitudini di acquisto

Le abitudini di acquisto degli italiani, e non solo, sono cambiate: anche a causa della diffusione del Covid-19 e dei conseguenti lockdown, gli usi dei consumatori si sono radicalmente trasformati, portando verso l’e-commerce anche i più scettici. I numeri potrebbero però essere molto diversi e anche leggermente inferiori di quanto inizialmente atteso.

In Italia, nel 2021 l’e-commerce B2C, ovvero da aziende a privati, si è incrementato del 21%, raggiungendo un valore di 39,4 miliardi di euro, secondo quanto riportato dai dati dell’Osservatorio e-commerce B2C della School of Management del Politecnico di Milano. Nel 2020 il settore valeva 32,5 miliardi di euro, nel 2019 31,6.

Alessandro Perego, responsabile scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico, ha spiegato che

“in seguito alle restrizioni dovute alla pandemia vi è stato uno straordinario salto evolutivo a favore del digitale, che ha coinvolto anche il mondo del commercio. Non sono solo cambiati i comportamenti di acquisto, ma è maturata anche la consapevolezza dei retailer sulla imprescindibilità di progettare un percorso di vendita e di relazione fondato sull’integrazione e sulla collaborazione tra canali fisico e online”.

Secondo i dati dell’Osservatorio Multicanalità, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Nielsen, azienda leader nelle ricerche di mercato, sono 46,1 milioni i consumatori italiani che utilizzano soluzioni di acquisto ibride, combinando canali offline e online e utilizzando Internet in ogni fase del processo.

Le ragioni della crescita dell’e-commerce

Acquistare online è facile, rapido e spesso anche meno costoso. Oltre che comodo, dato che si può farlo senza alzarsi dal divano e uscire di casa! Queste caratteristiche proprie dell’e-commerce, oltre all’ampia scelta, alla possibilità di consultare le recensioni di altri utenti e all’immediatezza dell’acquisto, lo hanno reso una modalità scelta da sempre più persone già prima della pandemia da Covid-19.

Il primo acquisto online effettuato in Italia risale al 3 giugno 1998 e a un libro di Andrea Camilleri ricercato su Ibs. Ampiamente diffuso già nel decennio successivo, è dal 2010 che l’e-commerce vive un vero e continuo boom.

Nel 2021, in Italia il commercio elettronico B2C sul fronte prodotti ha rappresentato il 10% di tutte le vendite retail. Nel 2020 era il 9%, nel 2019 il 6%. Per quanto riguarda il comparto dei servizi, il tasso di incidenza delle vendite online su quelle totali tra il 2020 e il 2021 è passato dal 10% all’11%.

Gli effetti della pandemia sull’e-commerce

Nel 2020, l’anno dell’arrivo del Covid-19, gli acquisti di prodotti online in Italia hanno toccato il 45% di crescita. Trend continuato anche nel 2021, anche se a un tasso più contenuto, ovvero +18%, che ha comunque portato il comparto a raggiungere i 30,5 miliardi di euro.

Per quanto riguarda i servizi, ovviamente in grande crisi per la diffusione del virus, nel 2021 sono stati spesi online 8,9 miliardi di euro, segnando una ripresa del 36%. Resta comunque marcata la differenza rispetto al 2019, ultimo anno di normalità, quando il comparto aveva un valore di 13,5 miliardi di euro.

I cambiamenti che la pandemia ha portato nei comportamenti e nelle preferenze dei consumatori, forzando anche i più restii ad acquistare online, e nelle attività commerciali, costrette ad adattarsi a nuove forme di vendita durante le chiusure, sono destinati a rimanere nel tempo.

Roberto Liscia, presidente di Netcomm, il Consorzio del commercio digitale italiano, ha sottolineato come prima dell’emergenza sanitaria il 70% dei grossisti e dei rivenditori non fosse organizzato per vendere online. Secondo le stime del Politecnico da Milano, invece, nel 2020 in Italia gli investimenti digitali dei business retail sono passati dall’1,5% del fatturato del 2019 al 2% e in Europa l’e-commerce è invece arrivato a valere 757 miliardi di euro, crescendo del 10% rispetto all’anno precedente.

Gli articoli più acquistati online nel 2021

Un modello basato sulla crescita media annuale del periodo 2016-2019 è stato utilizzato per ipotizzare quale sarebbe stato il valore del commercio elettronico nel caso in cui non fosse arrivato il Covid-19, comprendendo sia i prodotti che i servizi. I valori ottenuti con questo metodo sono di 36,6 miliardi di euro per il 2020 e 42,9 per il 2021, quindi superiori a quelli effettivamente verificatisi nel biennio.

In generale, la diffusione del virus ha quindi rallentato la crescita dell’e-commerce, soprattutto a causa del forte calo dei settori turismo e trasporti, penalizzati dalle chiusure dei confini e dalle restrizioni alla mobilità. Una forte accelerazione si è invece verificata nelle vendite digitali di altre merci, per esempio tra gli alimentari, che hanno registrato aumenti anche del 300%.

Secondo le statistiche diffuse da Amazon e da altri giganti dell’e-commerce, tra gli articoli più venduti online nel 2021, come negli anni precedenti, ha avuto un ruolo da protagonista l’elettronica di consumo. Di particolare interesse i dispositivi per semplificare la vita e le faccende domestiche, come i robot aspirapolvere e le prese intelligenti. In aumento anche le vendite dei prodotti legati agli smartphone e agli altri dispositivi mobili, come gli auricolari senza fili.

Infine, anche le cartucce, complici smart working e didattica a distanza, che hanno costretto diverse famiglie ad attrezzarsi con una stampante, sono state ampiamente acquistate online.

L’evoluzione dello shopping natalizio

Nel 2005, solo il 3% dei consumatori italiani acquistava online almeno un regalo di Natale. Nel 2011, erano 3,5 milioni. 

La società Salesforce, specializzata in CRM, customer relationship management, ha pubblicato il 2021 Holiday Shopping Report, il suo annuale report sullo shopping online relativo alle festività natalizie. In tutto il mondo, sono stati spesi 1,14 trilioni di dollari. Nel 2020 erano stati 1,1. Due picchi di acquisti sono stati registrati, uno a inizio novembre e uno a fine dicembre.

La corsa ai regali di Natale nel 2021 è iniziata con largo anticipo: il 30% delle vendite digitali globali è stato registrato entro il 22 novembre, il 23% nella Cyber week (in leggero calo rispetto al 24% del 2020). Un altro 23% di acquisti è stato effettuato invece alla fine del periodo natalizio, in parte addirittura dopo la ricorrenza, tra il 18 e il 31 dicembre.

Il 4% dello shopping online natalizio nel 2021 è stato effettuato tramite un’app di social media installata su un dispositivo mobile e il 10% del traffico su mobile è derivato dai social network, a dimostrazione di come essi stiano diventando sempre più centrali per i consumatori.

Il boom delle gift card

Secondo lo studio Italy gift cards market della società Allied Market Research, specializzata in ricerche di mercato e consulenza, il giro d’affari delle gift card, i buoni regalo prepagati e donati ad altri, passerà dai 5,7 miliardi di euro del 2020 a quasi 16 entro il 2028, registrando un tasso di crescita annuale del 14% e un forte sbilanciamento verso i buoni digitali.

Le gift card rappresentano uno dei regali più graditi, in particolare per Natale. La ricerca effettuata dalla società di consulenza canadese Leger per Blackhawk Network, che opera proprio in questo settore, e relativa al mercato statunitense ha mostrato come il 69% degli intervistati nel 2021 avrebbe desiderato trovare sotto l’albero una carta regalo, e molti di loro sono parte dei Millennial (i nati tra il 1981 e il 1996) e della Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2010).

I trend futuri dell’e-commerce

Tra i trend da tenere d’occhio e nell’ottica di una strategia omnicanale, sempre più importante per ogni tipo di azienda, c’è sicuramente il mobile shopping. Già oltre il 70% degli acquisti online viene fatto da dispositivi mobili. I business che vorranno concentrarsi sulle vendite digitali dovranno quindi attrezzarsi per offrire agli utenti un’esperienza d’uso ottimale su ogni tipo di supporto tecnologico.

Secondo Gianluca De Cristofaro, vice-presidente regionale per Commerce Cloud, piattaforma di e-commerce di Salesforce, sul mercato italiano

“nel nuovo anno, i retailer dovranno puntare ancora di più sull’omnicanalità per presidiare tutte le piattaforme diverse, dai social al gaming fino alle app di messaggistica e il nuovo metaverso, per coinvolgere i consumatori a permettere loro di scoprire nuovi prodotti, acquistarli e offrire loro un’esperienza unica e integrata su tutti i canali di contatto”.

Anche i social network, come già anticipato in precedenza, stanno quindi diventando sempre più centrali nella ricerca degli articoli desiderati dai consumatori. Circa il 50% dei Millennial e della Generazione Z avrebbe acquistato almeno una volta tramite social. Secondo la piattaforma per la gestione dei profili Sprout Social, nei prossimi tre anni il 79% dei business investirà nel social commerce. Si dovrebbe quindi verificare una sempre maggiore correlazione tra social media e piattaforme per il commercio elettronico, anche se prevedere in quale misura risulta al momento complicato.

Da monitorare in futuro ci saranno inoltre il voice commerce, che potrebbe crescere grazie all’uso ormai diffuso di assistenti vocali e app che permettono di compiere determinare azioni solamente utilizzando la propria voce, e la realtà virtuale, che dovrebbe permettere di combinare in esperienze ibride elementi reali con altri digitali.

Infine, non bisogna dimenticare l’importanza di personalizzazione, per rendere interattiva e rilevante per l’utente l’esperienza d’acquisto, offrendo dei contenuti in linea con i suoi interessi, e privacy, per permettergli di muoversi anche in forma anonima, quando desiderato, e di non fornire dati superflui.

TIM, nuovo piano in vista: e ora?

Un’altra seduta terribile per TIM, il colosso delle telecomunicazioni in Italia già reduce da tre profit warning nel 2021 e ora alle prese con un delicato cambio del top management e una nuova strategia. Oggi il titolo cede il 2,48% e si riporta a 43,96 centesimi accusando il colpo di un duro studio di BNP Paribas-Exane che porta il giudizio ad underperform con prezzo obiettivo a 0,31 euro. Il gruppo è nel mirino del fondo statunitense KKR, che ha già avanzato una proposta da 50,5 centesimi che però non sembra aver convinto per niente il mercato, nonostante il fondo abbia già pagato 1,8 miliardi di euro per il 37,5% di FiberCop, la società della fibra (secondaria) di TIM con Fastweb e altri partner.

In pratica il balzo dei corsi a 50,94 centesimi il 25 novembre scorso è stato meno che effimero e la media mensile dei prezzi si è posta sui 44 centesimi, non distante dai 45 centesimi circa del consensus degli analisti. Comunque la si veda TIM però resta ancora un porto delle nebbie.

Pietro Labriola, l’unico manager della vecchia guardia sopravvissuto ai vari cambiamenti di top management e azionariato degli ultimi anni, dovrebbe a breve prendere il posto di Luigi Gubitosi. Il cda per le nuove deleghe di CEO al direttore generale dovrebbe essere il 21, ma già domani potrebbe essere illustrato il nuovo piano industriale ai consiglieri (la riunione del management sarà tecnicamente una “induction” in cui il direttore generale illustrerà gli scenari in vista del nuovo piano).

Si ritiene che Labriola, che lavorò nel 2013 allo scorporo della rete, possa favorire questo passaggio decisivo, atteso, complicato, ma forse ormai inevitabile.

Qualcuno ipotizza una scissione che dovrebbe tenere sul mercato le azioni di una nuova società e almeno un’altra holding con le attività dei servizi (ma questi a loro volta potrebbero essere ulteriormente divisi). Gli azionisti attuali riceverebbero le azioni dei nuovi gruppi quotati e la rete prenderebbe in qualche modo la sua strada con il nuovo modello wholesale.

TIM: la questione CDP

Proprio la strada della separazione della rete chiama in causa le maggiori incertezze.

CDP è attualmente socia al 10% di TIM e ha il controllo della concorrente della fibra ottica Open Fiber: o si arriverà a un matrimonio delle reti o CDP dovrà lasciare andare le quote in TIM che non avrebbero più senso. Al riguardo è circolata la voce che CDP stia cercando una collaborazione con il primo socio di TIM Vivendi su questo fronte, ma la cronaca ha fornito anche indicazioni opposte sui rapporti CDP-Vivendi.

Al contempo resta virtualmente in campo l’offerta di KKR, che però dovrà passare da una due diligence e dal via libera del governo e dell’Europa. Non è ancora chiaro nulla neanche su questo fronte e, dato il valore strategico della rete di TIM e quindi il peso del governo e della politica su questo caso, probabilmente prima dell’elezione del presidente della Repubblica non ci saranno passi concreti in una direzione o nell’altra. Non a caso II Sole 24 Ore ipotizza che TIM non risponda alla richiesta di due diligence da parte di KKR prima del 2 marzo. Proprio il primo marzo Labriola dovrebbe presentare al mercato il nuovo piano. Al momento comunque TIM non ha posto deadline all’offerta di KKR e alla finestra su TIM ci sarebbe anche CVC.

I soggetti in campo sono senza dubbio molti, non ultima quella stessa Iliad che con 8,5 milioni di clienti nel mobile a fine 2021 ha messo in crisi tutti gli operatori italiani, a partire dalla stessa TIM. Adesso, come noto l’operatore francese, sta puntando sulla broadband e quindi all’offerta fissa che ne farebbe un competitor completo per il nostro mercato. La recente intervista del Sole al suo ad in Italia Benedetto Levi ha fatto il punto, affermando che il gruppo sarebbe a un giro d’affari da 667 milioni, ma con un rosso da 350,6 milioni di euro nell’ultimo bilancio. L’attacco sul fisso partirà proprio da Open Fiber e approderà dopo anche a FiberCop (TIM). Il ruolo di Iliad potrebbe essere in futuro ancora più importante nel panorama italiano delle telecomunicazioni, né il dossier delle telecomunicazioni italiane può essere separato da quello europeo e mondiale. In fondo lo scenario resta fondamentale, il primo socio di TIM è la francese Vivendi, sul mobile un colpo decisivo è stato assestato al mercato da un’altra francese, la Iliad di Xavier B. Niel che siede anche nel consiglio di amministrazione di KKR, il fondo statunitense che prima si è comprato un pezzo della rete secondaria di TIM e ora lavora a un’offerta per tutto il gruppo.

TIM: tanti dossier oltre la rete

Fra l’altro anche in un eventuale scorporo della rete di TIM sarà da capire come si monteranno i vari pezzi che resteranno, dai servizi come Cloud e Cybersecurity alle attività brasiliane finora proprio sotto la guida di Labriola e reduci dall’acquisizione di OI. Le attività in Brasile saranno cedute? Tim rinuncerà definitivamente alla propria dimensione internazionale dopo gli ultimi difficili anni?

Anche il calcio ha dato un bel colpo al gruppo. Indiscrezioni mai confermate da TIM hanno parlato di un versamento minimo da 340 milioni di euro l’anno a DAZN per i diritti TV del pallone ed è invece confermato che il mancato successo (incasso) l’anno scorso ha contribuito in maniera importante all’ultimo profit warning. Adesso circola la voce secondo la quale TIM si appresterebbe a richiedere uno sconto di 150 milioni di euro su questo conto salato.

Uno spunto positivo viene invece dal nuovo bando “Italia a 1 giga”, che punta a portare la banda ultralarga in 7 milioni di case con un investimento da 3,7 miliardi di euro di fondi del PNRR. Ci saranno 15 lotti da assegnare, se ne occuperà Infratel. Sarà una bella opportunità anche per TIM, nonostante siano previsti dei tetti al massimo delle assegnazioni a un unico concorrente. Il goloso incentivo statale sarà comunque fino al 70%: non poco se si considera che poi l’aggiudicatario manterrà l’infrastruttura. È prevista comunque una tabella di marcia serrata con possibili penali da parte di Infratel al mancato raggiungimento degli obiettivi intermedi. Le penali si potranno accumulare o recuperare fino a un certo punto, perché sotto una copertura del 70% dei civici assegnati si rischierà la revoca di tutto il contributo. Senza considerare le garanzie richieste a chi vuole i contributi.

Un’altra buona notizia per TIM è stata la decisione di Agcom di portare a 4,92 euro al mese i prezzi della rete primaria.

Di certo in due anni di pandemia che hanno impresso un’accelerazione incredibile alla digitalizzazione e alle telecomunicazioni e nella prospettiva dei miliardi di finanziamenti da parte del PNRR e dell’Europa, TIM dovrebbe essere in ben altra posizione. Come altri suoi competitor dovrebbe avere macinato utili e attivato investimenti sul futuro, invece ha emesso tre profit warning ed è diventata contendibile, ha continuato a perdere quote di mercato e forse ora si spezzetterà per evitare di essere comprata da un altro straniero. Su tutto però domina l’incertezza, un’incertezza strategica che il nuovo top management dovrà dissipare e che è stata uno dei maggiori vulnus dell’ultimo anno.

Non resta che incrociare le dita. A stretto giro il gruppo dovrebbe mettere in campo un altro piano.

(Giovanni Digiacomo)

Jp Morgan la peggiore del Dow Jones su risultati in frenata

Inizia male la tornata di trimestrali per la Corporate America, con Jp Morgan Chase & Co. che batte le attese del mercato ma presenta risultati in frenata sia in termini di utile che di ricavi. E il colosso di Wall Street (maggiore banca Usa per asset) ha registrato una crescita superiore alle aspettative per quanto riguarda le spese. “Vogliamo essere molto, molto competitivi in termini di retribuzioni. Se questo restringe i margini, così sia”, ha dichiarato il chief executive Jamie Dimon ma la reazione del mercato non è stata positiva. Jp Morgan ha infatti segnato un crollo del 6,15% venerdì al Nyse, in quella che è stata la peggiore performance sia dell’S&P 500 che del Dow Jones Industrial Average.

Risultati in frenata nel trimestre e Jp Morgan è la peggiore del Dow

Tuttavia a deprimere i corsi di Jp Morgan a Wall Street è stata la guidance. Nonostante Dimon di recente anticipasse la crescita più netta in decenni per l’economia Usa, fattori ribassisti permangono. Su tutti l’inflazione, volata fino al 7,0% annuo in dicembre, sui massimi dal 1982. “Nei prossimi uno o due anni prevediamo di guadagnare leggermente sotto gli obiettivi perché i venti contrari probabilmente supereranno quelli di coda“, ha dichiarato il chief financial officer Jeremy Barnum, secondo quanto riportato dalla Cnbc. E il tema delle spese rimarrà una costante: Barnum ha spiegato di attendersi che aumentino dell’8% nel 2022 a 77 miliardi di dollari a causa soprattutto delle “pressioni inflazionistiche”.

Jp Morgan peggiore del Dow anche sulla guidance. Teme l’inflazione

“È vero che il mercato del lavoro è rigido, che c’è un po’ di inflazione salariale ed è importante per noi attrarre e trattenere i migliori talenti e pagare in modo competitivo in base alle prestazioni”, ha sottolineato Barnum, allineandosi con quanto detto da Dimon. In ogni caso Jp Morgan beneficerà dell’aumento dei tassi d’interesse e della crescita dei prestiti che hanno attratto gli investitori nel settore finanziario negli ultimi mesi. È probabile che le entrate nette da interessi raggiungano i 50 miliardi quest’anno, un guadagno di 5,5 miliardi rispetto al 2021 ottenuto solo grazie al ritorno a una politica di aumento del costo del denaro da parte della Federal Reserve che Dimon invocava da tempo. (Raffaele Rovati)

RdC: cosa succede per chi è senza Green pass! Si perde?

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Un importante nodo da sciogliere negli ultimi giorni è quello relativo al Reddito di Cittadinanza

Anzi, per essere più chiari, riguarda l’obbligo di Green pass per coloro che ricevono Reddito di Cittadinanza. 

Ma è obbligatorio? Ebbene, andiamo a capire meglio la questione. 

Per chiarezza diciamo che, in base a quanto stabilito dal Governo Draghi, non è direttamente obbligatorio possedere il Green pass per percepire il sussidio. Tuttavia, c’è un ma. 

Infatti, coloro che non sono in possesso del Green pass perderanno il Reddito di Cittadinanza. Come mai? Te lo spiego immediatamente. 

In base a quanto sancito dalla nuova riforma del RdC, sarà obbligatorio per i beneficiari del sussidio frequentare i centri per l’impiego, pena l’esclusione definitiva dal Reddito di Cittadinanza

Ebbene, per accedere ai centri per l’impiego sarà necessario essere in possesso del Green pass, anche light. 

Questo significa che per poter accedere a tali centri bisognerà dimostrare di aver effettuato il vaccino ant-covid, essere guariti dal Covid-19 oppure aver effettuato un tampone, molecolare o antigenico, nelle 48 ore precedenti. 

Ma andiamo a scoprire meglio la situazione!

Per prima cosa consigliamo la visione di questo video, realizzato da Adnkronos

Green pass e RdC: cosa sta cambiando sul fronte Covid?

Prima di parlare dell’obbligatorietà del Green pass per i percettori del Reddito di Cittadinanza, andiamo ad indagare cosa sta succedendo sul fronte Covid-19 in Italia. 

Infatti, come sappiamo, stiamo assistendo ad un rapido incremento dei contagi. 

Complice anche la variante Omicron, il nostro Paese sta toccando dei picchi da record.

Proprio per questo motivo il premier Mario Draghi ha deciso di estendere lo Stato di Emergenza almeno fino alla fine del mese di marzo 2022. 

Inoltre, il Green pass sta diventando lo strumento più utilizzato per contrastare l’avanzata di questa pandemia. 

Infatti, come sappiamo, il Governo sta stringendo la morsa nei confronti dei No Vax. Infatti, fino ad oggi il lavoratori hanno dovuto presentare la certificazione verde digitale per recarsi sul loro posto di lavoro, ma sono in arrivo novità ben diverse. 

Per capire meglio di cosa stiamo parlando basterà ricordare che, fino ad oggi, per recarsi al lavoro era necessario anche un tampone, molecolare o antigienico, effettuato nelle 48 ore precedenti l’entrata in ufficio / sul posto di lavoro. 

Ebbene, a partire dal 15 febbraio 2022, sarà necessario il Super Green pass per accedere ai luoghi di lavoro, oltre a moltissime altre limitazioni già presenti. 

Infine, tale normativa arriva a toccare anche coloro che percepiscono il Reddito di Cittadinanza. Infatti, come abbiamo detto in precedenza, sarà obbligatorio essere in possesso del Green pass per poter accedere ai centri per l’impiego, luoghi da frequentare obbligatoriamente da coloro che percepiscono il RdC. 

Green pass obbligatorio: cosa succede al Reddito di Cittadinanza?

In base a quanto scopriamo dai dati forniti dal Governo, ci sono ben 100 mila percettori del Reddito di Cittadinanza che risultano essere a rischio di esclusione. 

Si tratta del numero di persone che non sono guarite dal Covid-19 e che non hanno ancora fatto il vaccino. 

Ovviamente, l’obiettivo del Governo Draghi è sempre lo stesso, ossia quello di incentivare le vaccinazioni di quelle persone che ancora non hanno deciso. 

Le novità sul fronte Green pass non sono ancora finite. Infatti, secondo quanto apprendiamo da alcune indiscrezioni, il Governo starebbe lavorando ad un nuovo DPCM che prevedrebbe l’obbligo di esibire la certificazione verde digitale per accedere ad alcuni servizi ed attività commerciali. 

RdC, ormai il Green pass è essenziale per i pagamenti!

Come abbiamo detto all’inizio di questo articolo, ad oggi non c’è una norma precisa che obbliga i percettori del Reddito di Cittadinanza ad essere in possesso del Green pass.

Dunque, si potrebbe pensare che la certificazione verde digitale non sia obbligatoria, ma in realtà non è così.

Come abbiamo detto in precedenza, si tratta di un obbligo implicito che è stato sancito dall’approvazione del decreto di inizio gennaio. 

Infatti, tutti coloro che percepiscono il Reddito di Cittadinanza sono tenuti per legge a presentarsi presso il centro per l’impiego, pena l’esclusione dal sussidio. 

In poche parole, l’assenza del Green pass non rientrerebbe tra le motivazioni valide per giustificare l’assenza dall’appuntamento. 

Ebbene, per accedere presso i centri per l’impiego sarà necessario esibire la certificazione verde digitale, da qui l’obbligo implicito. 

Facendo due calcoli risulta ovvio dire che per continuare a percepire il Reddito di Cittadinanza è necessario essere in possesso del Green pass. 

I centri per l’impiego sono solo uno dei pochi luoghi che non si potrebbero frequentare senza essere in possesso del Green pass. 

Infatti, come sappiamo, a partire dal 10 gennaio le persone sprovviste di Super Green pass (quindi certificazione da vaccino o da avvenuta guarigione) non possono nemmeno circolare sui mezzi pubblici. 

Decisioni drastiche che il Governo Draghi ha scelto di intraprendere in modo da arginare l’ascesa dei contagi e per spingere quante più persone possibili a ricorrere al vaccino. 

Per quanto riguarda i centri per l’impiego dobbiamo però ricordare che sarà indispensabile il Green pass light, ossia quello ottenuto sia con la vaccinazione, sia con la guarigione, sia con un tampone negativo. 

Questo significa che, per accedere al centro per l’impiego, non è ancora indispensabile essere vaccinati contro il Covid-19, ma le cose come sappiamo possono cambiare. 

Reddito di Cittadinanza: l’obbligo di andare al centro per l’impiego

Il Reddito di Cittadinanza è stata una misura durante criticata da numerose forze politiche, quali centrodestra ed Italia Viva, in quanto non ha raggiunto il suo scopo: il reinserimento delle persone disoccupate nel mondo del lavoro. 

Ebbene, proprio per questo motivo il Governo Draghi ha deciso di optare per una completa riforma della misura a partire dal mese di gennaio di questo nuovo anno.

Numerose sono state le novità introdotte, come il decalage mensile dopo il rifiuto di un’offerta di lavoro o la perdita del Reddito di Cittadinanza dopo il rifiuto della seconda offerta.  

Tuttavia, la nuova misura sulla quale ci vogliamo concentrare all’interno di questo articolo riguarda proprio l’obbligo di frequentare i centri per l’impiego periodicamente. 

L’obiettivo della nuova manovra di Mario Draghi era proprio quello di rafforzare il collegamento tra politiche attive del lavoro ed, ovviamente, sconfiggere una volta per tutte quelli che ormai sono famosi come “furbetti del Reddito di Cittadinanza”. 

Ebbene, per garantire un maggior collegamento tra domanda ed offerta di lavoro, il Governo Draghi ha imposto l’obbligo di frequentare una volta al mese i centri per l’impiego. 

Attenzione: alla seconda assenza non giustificata si perderà l’accesso al sussidio di cittadinanza. 

Ebbene, come abbiamo visto, per poter frequentare il centro per l’impiego sarà obbligatorio essere in possesso del Green pass, anche nella sua versione base. 

RdC e Green pass: come si perde il sussidio?

Come abbiamo visto, tutti coloro che non rispetteranno tale normativa e che non si presenteranno al centro per l’impiego con la certificazione verde digitale valida, perderanno il diritto di usufruire del Reddito di Cittadinanza. 

Tuttavia, è necessario sottolineare ancora una volta che non si tratta (almeno per il momento) di Super Green pass. 

Infatti, per accedere al centro per l’impiego basterà anche un tampone, molecolare o antigenico, che attesti la negatività al Covid-19. 

Banco BPM: focus su parole AD. Buy ora, dividendo può salire

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A Piazza Affari la seduta si conferma debole per Banco BPM che, dopo aver ceduto lo 0,38% venerdì scorso, propone lo stesso copione oggi.

Banco BPM scende in controtendenza rispetto al Ftse Mib

Il titolo, dopo aver provato a spingersi in avanti nelle battute iniziali, è tornato sui suoi passi e negli ultimi minuti si presenta a 2,856 euro, con un calo dello 0,21% e oltre 3,5 milioni di azioni transitate sul mercato fino ad ora, contro la media degli ultimi 30 giorni pari a circa 12,3 milioni.

Banco BPM penalizzato da andamento BTP e Spread

Banco BPM non riesce a beneficiare degli spunti positivi offerti dal Ftse Mib, frenato piuttosto dai segnali negativi che arrivano dal mercato obbligazionario.

Lo Spread BTP-Bund sale dell’1,02% a 138,7 punti base e le vendite sui BTP portano a un ulteriore rialzo dei tassi, con il decennale che aumenta del 2,4% all’1,363%.

Banco BPM: l’intervista all’AD. Gli spunti chiave

Banco BPM si conferma debole anche dopo un’intervista rilasciata a Milano Finanza dal CEO, Giuseppe Castagna.

Gli analisti di Equita SIM hanno riportato i principali spunti in una nota, da cui si apprende che, considerando le ultime incertezze legate all’andamento della pandemia, il CEO valuta ragionevole la richiesta di ABI di una nuova estensione di sei mesi delle misure di sostegno.

Il manager ha ribadito le indicazioni positive sul fronte delle moratorie, al terzo trimestre 2021 pari a circa 4,2 miliardi di euro, il 4% del totale dei loan.

Il default rate nel 2021 si è attestato su livelli particolarmente contenuti, inferiore all’1%, ed è probabile attendersi una lieve risalita nel 2022, senza destare particolari preoccupazioni.

Sul fronte M&A, Banco BPM ha valutato invece positivamente l’intervento di Bper Banca su Banca Carige, in quanto neutralizza un elemento di instabilità del sistema. Nessun commento particolare invece è stato rilasciato sul tema Banca Monte Paschi.

Il CEO Castagna ha altresì evidenziato che l’implementazione del PNRR, piano nazionale di ripresa e resilienza, nel 2022 offre grandi opportunità al sistema bancario e per questo Banco BPM ha creato apposite strutture dedicate per facilitare l’erogazione dei finanziamenti.

Banco BPM: per Equita SIM è a sconto

Gli analisti di Equita SIM evidenziano che il titolo tratta con un rapporto prezzo-utili 2022 pari a 6,4 volte e un rapporto prezzo-tangible equity di 0,4 volte, a sconto rispetto alla media di settore pari a 0,5 volte.

Secondo la SIM milanese, si tratta di una valutazione che non riflette pienamente l’accelerazione della performance operativa dela banca.

Banco BPM: per analisti dividendo può salire. Buy confermato

La posizione patrimoniale, con CET1 superiore al 13% lungo l’arco di piano, garantisce flessibilità al management per aumentare potenzialmente la remunerazione agli azionisti e quindi vedere un dividendo più alto.

Non cambia intanto la view di Equita SIM che su Banco BPM conferma la sua strategia bullish, con una raccomandazione “buy” e un prezzo obiettivo a 3,5 euro, valore che implica un potenziale di upside di oltre il 23% rispetto alle quotazioni correnti a Piazza Affari.   

Come fare soldi lavorando da casa: alcune idee lavoro!

Al giorno d’oggi lavorare da casa è ormai una scelta sempre più comune per moltissimi italiani. 

Nonostante possiamo definirla a tutti gli effetti una moda, è giusto specificare che negli ultimi due anni lo è diventata a causa di una situazione che purtroppo tutti conosciamo bene. 

La pandemia di Covid-19 ha infatti impossibilitato la maggioranza dei lavoratori a recarsi sul proprio luogo di lavoro. Di conseguenza, l’unica maniera per portare avanti l’economia, è stato rivoluzionare completamente lo svolgimento di diverse professioni.

Ed ecco quindi che in men che non si dica ci siamo ritrovati di fronte a webcam, in videochiamate Zoom o Skype, abbiamo stravolto i nostri ritmi e modificato le nostre abitudini. 

Se per molte aziende questo cambiamento ha aperto le porte ad un nuovo modo di lavorare, risparmiando e contenendo i costi, per tante persone ha avuto un impatto psicologico non indifferente. 

Ma andiamo per ordine ed analizziamo ogni possibile sfaccettatura, positiva e negativa, dello smart working. 

Rivoluzione digitale e smart working 

Come abbiamo accennato poco fa, la pandemia tutt’ora in corso ha costretto il mondo del lavoro a adattarsi ad una nuova situazione. 

Tutto ciò ha portato ad una vera e propria rivoluzione non solo a livello lavorativo, ma anche sul piano delle tecnologie. 

Basti pensare che prima del Covid-19 le persone che sfruttavano il lavoro da casa in Italia erano solo 570 mila. Ad oggi sfiorano quasi la soglia dei 2 milioni! 

Possiamo quindi confermare che, purtroppo o per fortuna, la pandemia ha dato allo smart working una spinta incredibile. Parallelamente, le aziende fornitrici di servizi digitali hanno dovuto farsi trovare pronte ad un’ondata non indifferente di nuovi utenti.

C’è da dire che, a prescindere dalla pandemia, le imprese più famose e maggiormente digitalizzate sono sempre state in grado di gestire un cambiamento di questa portata. Hanno quindi provveduto a soddisfare tutte le richieste in totale sicurezza, mantenendo un ottimo livello di governance.

Ovviamente tutto questo ha garantito loro anche un notevole incremento del loro business. 

I vantaggi del lavoro da remoto

Spesso si tende a parlare dello smart working unicamente come qualcosa di negativo che ci tiene incollati ad uno schermo e ci estranea dalla realtà lavorativa come sempre la abbiamo conosciuta. 

Il lavoro da casa possiede sicuramente un’accezione sfavorevole, ma non si può negare che ha anche diverse caratteristiche positive e numerosi vantaggi sia per i lavoratori che per le aziende. 

Analizziamo per primi quelli che sono i maggiori benefici dal lato delle imprese.

Innanzitutto, il vantaggio più intuibile, è un notevole contenimento dei costi aziendali e una riduzione delle spese per eventuali viaggi e trasferte.

Nei costi aziendali rientra tutto ciò che è utile ed indispensabile al mantenimento della struttura, quindi dal pagare le bollette, alla manutenzione degli impianti idro-elettrici, ad eventuali interventi di revisione, ecc…  

Un altro vantaggio è la riduzione dell’assenteismo e una conseguente crescita produttiva. Questo perché lo smart working ha portato ad un amento delle ore lavorative, in quanto le persone trovandosi a casa tendono a stare al pc e rispondere alle mail anche dopo il termine del proprio turno. 

Se questi appena elencati erano gli aspetti positivi dal lato delle imprese, scopriamo ora quali sono invece i punti di forza per i lavoratori. 

Al primo posto abbiamo un netto miglioramento della conciliazione tra la vita familiare e lavorativa.

È stato infatti provato come lavorare da casa genera una diminuzione dello stress causato da diversi fattori, tra cui ad esempio il tempo dedicato al viaggio per recarsi sul luogo di lavoro, o più banalmente i conflitti che possono crearsi più facilmente in un ambiente comune con tante persone. 

Inoltre, lo smart working offre la possibilità di gestire con più autonomia i propri orari di lavoro, che quindi appaiono più flessibili e meno stancanti. A livello generale si può dire che viene assicurata una migliore organizzazione del tempo e della professione stessa. 

Per concludere questo paragrafo è utile ricordare anche altre conseguenze positive e vantaggiose del lavoro da casa, a cui forse non tutti pensano. 

Dando uno sguardo alla sostenibilità abbiamo un miglioramento anche per l’ambiente. Questo grazie alla riduzione di emissioni di gas inquinanti causati appunto da automobili e mezzi di trasporto, un netto calo del traffico cittadino e una riqualificazione degli spazi verdi.

I rischi di lavorare da casa

Come ben sappiamo, però, c’è sempre un rovescio della medaglia. Ed in questo caso si tratta di un rovescio del tutto negativo ed alquanto preoccupante

Abbiamo visto come lo smart working rappresenta un’alternativa con numerosi vantaggi e c’è da dire che, indubbiamente, l’idea di lavorare e guadagnare comodamente seduti sul divano di casa è parecchio allettante. 

Ci sono però dei veri e propri pericoli che si nascondono dietro lo smart working. Questi sono stati più volte esposti da diversi psicologi italiani

In particolare, da David Lazzari, presidente del CNOP: Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi

Parlando di ripresa lavorativa a seguito del lock down, Lazzari si è espresso in questi termini: 

“Lo smart working è un’opportunità ma può rappresentare anche un rischio per il benessere psicofisico. Infatti, si registrano sempre più spesso casi di burnout da parte di persone che a casa non riescono a gestire il flusso di lavoro, rimanendo così schiacciati dalle scadenze”. 

Viene quindi messo l’accento su un peggioramento psicologico e fisico causato da un cambiamento radicale degli schemi e delle abitudini lavorative. La pericolosità di tutto ciò, a detta di Lazzari, è determinata anche dal tempo passato di fronte ai dispositivi tecnologici. Infatti, specifica: 

“Non si stacca mai durante il giorno, ritrovandosi impegnati anche la sera e nel weekend (…). La tecnologia, tramite pc, device e telefono, irrompe ormai a qualsiasi ora nella vita degli individui, impedendo di vivere gli spazi affettivi, sociali e di riposo che sono invece fondamentali (…). Molte imprese stanno analizzando gli aspetti positivi dello smart working. In effetti il lavoro da casa offre alle aziende spazi notevoli di risparmio sui costi (…). Tuttavia, è bene che questi risparmi non comportino un peggioramento delle condizioni di lavoro delle persone, cui vanno sempre garantiti tempi e spazi certi di distacco dal flusso di attività ormai inarrestabile”. 

Possiamo, quindi, dedurre come sia fondamentale organizzare il lavoro affinché questo non diventi snervante ed insostenibile. Questo sia dal lato delle imprese, che dal lato dei lavoratori. 

Alcuni cambiamenti che possono migliorare l’impatto psicofisico dello smart working sono, ad esempio, evitare chiamate e videochiamate ad orari poco consoni come la tarda sera o la mattina troppo presto, oppure non assillare il lavoratore con troppe mail o registrazioni audio.

Insomma, semplicemente avere una maggiore cura e attenzione al benessere delle persone. 

Alcune idee lavoro: come guadagnare?

Ora che sappiamo quanto il lavoro da casa stia pian piano sostituendo quello in presenza, diamo uno sguardo a tutte quelle persone che sono pronte a sperimentarlo.

Non dobbiamo infatti dimenticare che se per molti lavoratori la pandemia ha portato allo smart working, purtroppo per tanti altri ha portato direttamente alla disoccupazione

Per tutti coloro che volessero rimettersi in gioco o sono in cerca di un lavoretto da casa per arrotondare lo stipendio, vediamo qui di seguito alcune idee.

Tra i primi posti troviamo l’insegnamento e le ripetizioni. D’altronde, pure le scuole hanno subito delle ripercussioni, quindi insieme ai lavoratori sono a casa anche i loro figli. Questi ultimi spesso e volentieri hanno bisogno di un piccolo aiuto con lo studio o con i compiti.

È possibile, infatti, iscriversi a diverse piattaforme online per proporsi come insegnante da remoto. E vi assicuro, potrebbe esserci una grande richiesta! 

Per chi fosse interessato, tra i siti che offrono questo servizio troviamo Classgap, SocialAcademy, Moodle o Preply.

Un’altra alternativa è il web copywriting: per tutti gli appassionati della scrittura ci sono numerose pagine web o piccole testate giornalistiche in cerca di nuove risorse. Si può scrivere e pubblicare i propri contenuti comodamente da casa e la retribuzione è garantita in base al lavoro prodotto, ad esempio tot articoli pubblicati. 

Ci sono poi tutti i campi di consulenza: finanziaria, psicologica, contabile… insomma a seconda della propria specializzazione professionale, è possibile offrire servizio di assistenza a tutti coloro che ne hanno bisogno. Ed anche in questo campo posso assicurare che la richiesta non manca, perché c’è sempre qualcuno in cerca di aiuto. 

Non dimentichiamoci poi di una tendenza molto in voga ultimamente: la vendita online. Questa attività può essere vissuta sia come un secondo lavoro che come un hobby, anche a seconda di quali intermediari decidiamo di utilizzare. 

Nella prospettiva di vendere prodotti come un secondo lavoro, un’idea sarebbe quella di affidarsi a piattaforme imponenti e conosciute, ad esempio Amazon o eBay. Altrimenti, per chi decidesse di sfruttare questa attività come un hobby, esistono tantissime applicazioni che offrono questo tipo di servizio. Tra le più scaricate ultimamente abbiamo Vinted e Wallapop

Infine, non possiamo non citare una delle strade maggiormente intraprese in questi anni, soprattutto dai più giovani: i social network. 

I creatori di contenuti sono in continua ascesa e, ad oggi, i social tra cui si può scegliere sono davvero tanti e molto diversificati. YouTube, ad esempio, oltre ad essere tra i più visualizzati, garantisce a chi raggiunge determinate visualizzazioni, un buon compenso per ogni video. 

Il futuro dello smart working e l’impatto sulle aziende

Una delle domande che in molti si pongono è quale sarà il destino dello smart working: se diventerà la forma di lavoro primaria o se, quando finalmente il covid sarà solo un ricordo, andrà a scomparire. 

Quel che è certo è che, valutati gli aspetti positivi e negativi, sarà necessaria una seria e rigorosa regolamentazione del lavoro da casa per far si che questo continui ad esistere. 

Innanzitutto, è necessario un adattamento da parte delle aziende che, sicuramente, dato il contenimento dei costi, non vorranno privarsi di imporre lo smart working per almeno 2 o 3 giorni a settimana. 

Dall’inizio della pandemia tanti sono stati i miglioramenti fatti, ma tanto ancora tanta strada da fare!

Così come ricorda Alessandra Gangai, direttrice della Ricerca Smart Working nella Pubblica Amministrazione

“Per cogliere tutti i benefici dello smart working serve l’impegno di tutti i soggetti. Alle organizzazioni spetta il compito di strutturare progetti coraggiosi, lavorando su policy, tecnologie, spazi di lavoro e stili di leadership. I lavoratori devono allenare skill più adeguate al nuovo work-life balance. I policy maker devono accompagnare questa trasformazione con onestà intellettuale e lungimiranza”.

È quindi necessario un impegno costante da parte di tutti affinché si creino le situazioni ideali per permettere ai lavoratori di continuare a lavorare da casa senza stress emotivi e senza riemetterci nulla. 

Anche perché, secondo recenti studi, in un futuro prossimo lo smart working sarà introdotto nell’89% delle grandi aziende. 

Opzione Donna 2022: proroga trappola! Occhio ai requisiti!

Opzione Donna è stato rinnovata anche per il 2022!

Ma bisogna stare attenti ai nuovi requisiti, visto che il Governo Draghi s’è imposto per tutte le opzioni pensionistiche.

L’abbiamo visto con Quota 100, scomparsa il 31 dicembre 2021 perché economicamente ingestibile. Lo stesso destino poteva abbattersi su questa Opzione.

E invece non è andata così, come Mondo Pensioni può confermarti in questo video di approfondiemnto Youtube.

In compenso bisognerà però adeguarsi alle nuove disposizioni governative, in particolare per gli anni di contributi da versare all’INPS.

Questa è infatti la nota dolente per tutte le pensioni italiane. Ma lo vediamo subito con i primi approfondimenti.

Opzione Donna 2022: ecco come funziona

Questa uscita anticipata è nata ai sensi dell’art. 16 del Decreto Legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni in Legge 28 marzo 2019, n. 26, proposto allora per incentivare il ricambio generazionale all’interno dei vari settori lavorativi (pubblici o privati che fossero), in particolare per le lavoratrici.

Quelle che, storicamente, hanno avuto il meglio da questo paese, sia a livello di stipendi sia a livello di ammortizzatori sociali. Non a caso, durante la pandemia da Covid del 2020, sono state quelle a venire più largamente licenziate, secondo quanto riportato da Wired.

Questa opzione si presenta come una possibilità di accesso alle pensioni anticipate, anche se con qualche anno in meno di contributi da aver versato.

Dato che, ufficialmente, la pensione anticipata è prevista solo se s’è versato almeno 42 anni e 9 mesi di contributi INPS, senza alcuna distinzione d’età oltre i 19 anni (prima dei 19 servono almeno 9 mesi di contributi versati).

Data infatti la minor richiesta di anni contributivi, negli ultimi mesi era stata messa in dubbio una sua proroga, anche perché la stessa OCSE non ne voleva sapere di un’Opzione Donna per il 2022.

Opzione Donna prorogata fino al 2022: ecco perché!

L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nel suo ultimo report sulla spesa pubblica riferita alle pensioni e al welfare in generale ha segnalato l’Italia in merito alla sua abnorme spesa, pari al 16% del PIL nazionale annuo, contro una media europea attorno al 12%. 

In poche parole, assieme alla Grecia, l’Italia è quella più spendacciona. Non a caso aveva richiesto che venissero fatte delle correzioni in merito alle uscite pensionistiche, oltre al fatto di tenere l’uscita standard per la vecchiaia all’interno della media europea.

Il problema è che questo ha significato, dal 1 gennaio 2022, nella conclusione di Quota 100, oggi non più disponibile se non per chi era riuscito a maturare i requisiti pensionistici entro il 31 dicembre 2021.

E anche nel fatto che, al suo posto, è stata confermata:

  • per il 2022 Quota 102, con un’uscita pensionistica a 64 anni d’età;
  • per il 2023 Quota 104, con un’uscita pensionistica a 66 anni d’età.

Anche Opzione Donna doveva finire, visto che come età pensionistica, per gli standard europei, era troppo generosa.

Infatti c’era stato fino a dicembre un dibattito parlamentare sul fatto di cancellarla, aumentarne la quota anagrafica o lasciarla così.

Paradossalmente, fino a poco tempo fa era assicurata la sua cancellazione, poi a sua volta erano sicuri per l’aumento dell’età anagrafica di almeno un anno per ogni opzione. E invece è accaduto che l’Opzione, almeno per quest’anno, è rimasta uguale.

Opzione Donna: ci sarà la proroga per il 2023?

Quanto disposto per quest’anno rimane per quest’anno, visto che Opzione Donna ha avuto la conferma tramite la Manovra di Bilancio 2022. E che, per venire riconfermata, servirà quella del 2023.

Anche perché nel mentre dovrà essere riconfermata Quota 104, in arrivo per il 2023, e di per sé è abbastanza controversa come uscita pensionistica, dato che pretende due anni in più di uscita con una distanza dalla quota precedente di un solo anno.

Teoricamente o compi due anni nello stesso anno, o rimani fuori. E se rimani fuori, temo che dal 2024 l’unica soluzione rimasta per andare in pensione sarà con la Legge Fornero, che attualmente prevede:

  • venti anni di contributi INPS versati,
  • l’età anagrafica di 67 anni.

Il problema è che dal 2024 la Fornero prevedrà un nuovo ricalcolo dell’aspettativa di vita, come disposto da tempo. L’ultimo, in data dicembre 2021, non ha comportato nulla, per via dell’abbassamento a causa della pandemia da Covid.

Ma in caso di aumento, si potrebbe rischiare di andare in pensione a ben 70 anni, se non 71 anni. Cioè con la quota anagrafica prevista per chi non ha maturato venti anni di contributi INPS.

Già ha fatto scandalo la notizia che tutti coloro che iniziano da quest’anno a raccogliere contributi rischiano di andare in pensione a 71 anni. Per non parlare dell’affermazione di qualche tempo fa dell’ex presidente dell’INPS, Tito Boeri, che immagina l’intera classe 1980 andare in pensione a 75 anni!

Davanti a questa prospettiva, è meglio, se è possibile, provvedere a uscire quanto prima.

Opzione Donna 2022: uscita per chi ha 58 anni! E’ vero?

La possibilità di andare prima in pensione con Opzione Donna è stato riconfermato anche per il 2022, e fortunatamente alle solite condizioni dell’anno scorso.

Quindi, sì, potrai andare in pensione a 58 anni, dato che, per ottenere il beneficio di questa opzione pensionistica devi:

  • avere almeno 35 anni di contributi INPS maturati;
  • avere almeno 58 anni d’età come lavoratrice dipendente (pubblico o privato che sia);
  • avere almeno 59 anni d’età come lavoratrice autonoma.

Se non ci fosse stato il dibattito parlamentare, Opzione Donna avrebbe avuto invece come età anagrafica, rispettivamente, 59 anni per le dipendenti e 60 anni per le autonome.

Purtroppo, per non toccare troppo la quota contributiva, puntano ad aumentare quella anagrafica, probabilmente perché per il settore del lavoro è più difficile raccogliere contributi che invecchiare.

Questa condizione, sia anagrafica sia contributiva, dovrà essere garantita entro e non oltre il 31 dicembre 2021, altrimenti dovranno attendere il 2023 per poter reclamare l’Opzione Donna. 

Funziona così: tu puoi beneficiare dell’uscita pensionistica anche l’anno dopo in caso di mancata proroga, ma solo se sei riuscito, nell’anno precedente, a maturare i requisiti.

Opzione Donna 2022: ecco come funziona per il Comparto Scuola

Una nota particolare bisogna farla in merito al Comparo Scuola, cioè a tutte le lavoratrici presso gli istituti scolastici e quelli di Alta Formazione Artistica e Musicale.

Nel loro caso potranno conseguire al trattamento pensionistica a decorrere dal 1° settembre 2022 e dal 1° novembre 2022.

Non cambia nulla in fatto di quota anagrafica e contributiva, semmai bisogna stare attenti alle date di decorrenza, perché, nel caso in cui sei iscritta all’assicurazione generale obbligatoria, o ad altre forme sostitutive, la decorrenza del trattamento pensionistico non può essere comunque anteriore al 1° febbraio 2022.

Inoltre, per la decorrenza in generale, è previsto il diritto entro:

  • 12 mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti, se a carico di lavoratori dipendenti;
  • 18 mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti, se a carico di gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi.

Tanto a prescindere il calcolo finale è quasi sempre lo stesso.

Opzione Donna 2022: ecco come si calcola!

Il calcolo dell’importo pensionistico a seguito dell’uscita tramite Opzione Donna è presto fatto.

Anche se tu rientri perfettamente sia nella decorrenza dei requisiti in maturazione, sia nell’età, sia nella quota contributiva, secondo quanto previsto dalla legge non potrai beneficiare a prescindere dell’importo totale della tua pensione.

Se vai in pensione prima sfruttando Opzione potresti perdere fra il 25 e il 20% dell’assegno pensionistico che maturerebbe se andasse in pensione con la Fornero.

In pratica, se hai diritto a 1.500 euro di pensione in caso di Fornero, con Opzione Donna arriveresti a 1.250-1300 euro di pensione.

Pur garantendo praticamente ben 15 anni di contributi in più rispetto alla Fornero.

Il calcolo purtroppo è disposto così come forma di disincentivo generale ad uscire prima dal lavoro. Con questo stratagemma, solo 21.000 donne sono uscite con Opzione Donna nel 2019, e 13.000 nel 2020.

Anche se c’è una possibilità in più, al di fuori di questa Opzione. E si chiama Ape Sociale!

Opzione Donna o Ape Sociale: ecco cosa conviene nel 2022!

Come ulteriore possibilità di avere un calcolo migliore, al posto di Opzione Donna, abbiamo l’Ape Sociale, come sempre, visto che, puoi comunque beneficiare di una rata pari a 1.500 euro se hai un importo con la Fornero pari o superiore a 1.500 euro.

Il motivo di questa “generosità” è dettato da un’uscita pensionistica più alta, di ben 63 anni, anche se a fronte di una quota di contributi più contenuta, solo 30 anni per chi ha lavori standard, sennò 36 anni se di tipo usurante.

Puoi richiedere questa uscita in alternativa all’Opzione, specie se sei un lavoratore disoccupato o con soggetti e familiari a carico sofferenti di patologie disabilitanti.

O se fai uno dei tanti lavori usuranti per cui il Governo Draghi ha chiesto l’inserimento nella rosa dei richiedenti all’Ape Sociale.

In particolare i caregiver sono quelli che potrebbero più di tutti beneficiare di questa uscita, oltre ad altri supporti e agevolazioni sul lavoro (anche part-time) in quanto assistenti per persone con disabilità. Se vuoi saperne di più ti suggerisco questo approfondimento.

Altrimenti c’è la Fornero, anche se non può far altro che peggiorare questa proposta standard, visto che è ancorata all’aspettativa di vita.

Assegno unico figli anche senza Isee: è possibile averlo!

Quest’anno l’Isee gioca un ruolo importante per i lavoratori, che hanno intenzione di richiedere l’assegno unico per i figli. Ma è possibile farne a meno. No, non stiamo sbagliando, né è un errore di battitura. Questo importante aggiornamento è arrivato proprio in queste ultime ore: è possibile ottenere l’assegno unico per i figli anche senza l’Isee 2022 in corso di validità. Ma partiamo dall”inizio.

Come molti ben sapranno, dal 1° gennaio 2022 scompariranno le detrazioni per i figli a carico dalla busta paga dei lavoratori ed al loro posto arriverà l’assegno unico per i figli. Per poterlo ottenere è necessario presentare all’Inps l’Isee aggiornato: in base al reddito del singolo contribuente, l’istituto di previdenza provvederà ad accreditare direttamente sul conto corrente l’assegno che spetta. In molti si sono chiesti sa sia possibile ottenere l’assegno unico per i figli anche in assenza di un Isee. Ma soprattutto come si debba comportare il contribuente che non sia riuscito ad ottenere l’indicatore per un qualsiasi motivo.

A confermare che sia possibile riuscire ad ottenere il tutto senza grossi problemi è stato il quotidiano Il Sole 24 Ore. Ma proviamo ad approfondire il tutto.

Isee: come richiederlo per l’assegno unico per i figli!

Stando a quanto ci racconta il quotidiano della Confindustria, quindi, l’Isee per ottenere l’assegno unico per i figli non sarebbe strettamente necessario. Prima di procedere, comunque, ricordiamo quali sono le strade che i contribuenti hanno a disposizione per richiedere l’indicatore:

  • la richiesta può essere effettuata online, accedendo direttamente al sito dell’Inps con Spid, Cie o Cns;
  • è possibile richiederlo attraverso il contact center, chiamando il numero verde 803.164, che è gratuito dall’Italia, o al numero 06.164164 se si chiama da cellulare;
  • la richiesta può essere effettuata anche tramite gli istituti di patronato.

Nel caso in cui l’Isee dovesse essere elaborato entro la fine di febbraio, gli importi che sono calcolati dal mese di marzo 2022 sono aggiornati in base all’indicatore. Non sarà necessario allegarlo alla domanda, perché sarà direttamente l’Inps a leggere i dati e ad incrociare le eventuali banche dati. Nel caso in cui si dovesse presentare la domanda per l’assegno unico senza Isee, arriverà la quota minima, ossia 50 euro per ogni figlio minorenne.

Assegno Unico per i figli, cosa succede se l’Isee arriva in ritardo!

Abbiamo visto che l’assegno unico per i figli ci arriva anche se non presentiamo l’Isee. Purtroppo, però, ci arriverà il più basso possibile. A questo punto la domanda successiva è: cosa succede nel caso in cui dovessi presentare l’indicatore in ritardo. Nel caso in cui l’Isee 2022 dovesse arrivare entro il mese di giugno, con la mensilità di luglio verrebbe erogato il conguaglio che spetta dal mese di marzo. Nel caso in cui l’Isee dovesse arrivare dopo giugno, il conguaglio spetterà solo e soltanto dal mese in cui è stato fornito l’indicatore aggiornato. Sarà, comunque, obbligatorio comunicare qualsiasi variazione del nucleo familiare tramite un nuovo Isee.

Come abbiamo visto, quindi, è possibile ottenere l’assegno unico per i figli anche senza l’Isee. Anche se, in questo modo, arriva con gli importi minimi previsti. Ricordiamo, inoltre, che per le prime tre annualità è prevista una maggiorazione di natura transitoria decrescente, che funzionerà con i seguenti scaglioni:

  • intera nel 2022;
  • due terzi nel 2023;
  • un terzo nel 2024;

su base mensile, dell’importo dell’assegno a condizione che il nucleo familiare abbia un Isee non superiore a 25.000 euro e nel corso del 2021 abbia percepito gli assegni per il nucleo familiare.

Assegno unico per i figli: a chi non spetta!

Ma spetta proprio a tutti l’assegno unico per i figli? L’importo erogato dall’Inps non arriverà nel caso in cui ci siano dei figli con un’età compresa tra i 18 ed i 21 anni, che non stiano lavorando o non stiano studiando. Al compimento dei 21 anni i genitori, però potranno chiedere le detrazioni per i figli a carico, anche se ci sono dei limiti di reddito. La nuova misura non è comunque vincolata al reddito della famiglia: ne hanno, quindi diritto tutti i contribuenti Vi è un’unica condizione per riuscire ad ottenere questo assegno unico: che ci sia almeno un figlio all’interno del nucleo familiare.

È importante ricordare che l’assegno unico per i figli non spetta se questi sono Neet (in inglese, not in education, employment or training) ed abbiano età compresa tra i 18 ed i 21 anni. L’Italia vanta purtroppo un record per quanto attiene ai giovani Neet: l’Istat dice che, al 2020, nel nostro Paese si contano un milione e 112mila giovani tra i 15 e i 24 anni (il 19% della popolazione residente) che non lavora e non si forma. Un’incidenza che, estendendo la platea di riferimento fino ai 34 anni, sale fino al 25%, per un totale di oltre tre milioni di giovani Neet.

Che cos’è il dividend investing?

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Il dividend investing è la strategia cha ha come obiettivo quello di creare un flusso di reddito regolare che vada ad aumentare il rendimento totale del portafoglio.

Ci sono molti motivi per cui può valere la pena acquistare azioni che pagano dividendi:

  • In un contesto di tassi di interesse bassi e aspettative di inflazione in crescita, investire in reddito fisso potrebbero non fornire un ritorno sufficiente a superare il deprezzamento del capitale;
  • Garantisce un flusso di cassa costante;
  • Offre vantaggi di lungo termine poiché l’accumulo della cedola, specialmente in caso di dividendo crescente, può essere un driver di crescita per il ritorno totale dell’investimento. Secondo uno studio Morningstar basato sulle holding dell’indice S&P 500, i rendimenti derivanti dai dividendi hanno rappresentato il 16% della performance totale nel decennio 2010-2019.

Non bisogna dimenticare che per avere diritto a ricevere il dividendo bisogna essere in possesso del titolo nel giorno dello “stacco” della cedola e non in quello della “distribuzione”. Fai molta attenzione al giorno in cui prendi posizione su un titolo azionario, a volte le azioni sono scambiate in quel particolare giorno senza il diritto a ricevere il dividendo (vengono definite “ex dividendo”). Se acquisti e vendi azioni alla data di stacco non riceverai il pagamento della cedola più prossima.

2 modi per investire in azioni da dividendo

Ci sono fondamentalmente due modi per attuare una strategia dividend investing: avere un approccio high yield o puntare a delle stock che promettono di avere un alto tasso di crescita dei dividendi.

Il primo si basa sulla scelta di massimizzare il rendimento da dividendo. Questo approccio potrebbe dare un ritorno molto generoso nel breve termine, ma allo stesso tempo essere molto pericoloso nel lungo periodo. Il rischio, infatti, è quello di essere tentati dai generosi extra-rendimenti forniti dai dividendi – che difficilmente si ripeteranno in futuro – per poi ritrovarsi in una trappola, ovvero con un titolo che non paga più dividendi e con una perdita in conto capitale che pesa in portafoglio. Molto spesso, infatti, le aziende distribuiscono agli azionisti utili che derivano da ricavi generati dalla cessione di attività marginali, quando invece il core business produce risultati negativi, o aumenta il proprio indebitamento per continuare a pagare dividendi nonostante il business sia in difficoltà. Ad un certo punto queste società sono costrette a smettere di pagare dividendi e il più delle volte questo si traduce in un forte sell-off sui listini.

Il secondo approccio è quello di concentrarsi sulla qualità del business e sulla stabilità finanziaria dell’azienda. Un business di qualità, infatti, consente alle aziende di aumentare i profitti indipendentemente dall’andamento dell’economia, mentre una forte solidità del bilancio è un’assicurazione sulla capacità dell’azienda di continuare a pagare la cedola anche nel lungo termine. Non va dimenticato, poi, che le aziende con queste qualità e che dimostrano di avere una disciplinata politica di dividendo, tendono ad avere una gestione di qualità superiore, focalizzata su un’allocazione del capitale che massimizza gli interessi degli azionisti. Le azioni di queste società tendono a mostrare una minore volatilità del mercato, questo perché gli azionisti di solito non vendono questi titoli neanche quando i mercati crollano perché non vogliono privarsi del flusso di cassa sicuro che questi gli garantiscono. Tutti questi fattori ci aiutano a spiegare perché questo tipo di azioni mostra in media un total return più elevato nel lungo termine.

Gli analisti di Morningstar adottano questo approccio per la costruzione del Morningstar Dividend Yield Focus Index e del Morningstar Dividend Select Portfolio. Il processo di costruzione del benchmark, che ha come universo di selezione il Morningstar US Market Index, parte dalla selezione delle società americane che pagano dividendo, con un Economic Moat pari a Medio o ad Ampio e con un Fair Value Uncertainty Rating diverso da Molto Alto o Estremo, poi viene applicato un filtro relativo alla stabilità finanziaria, scegliendo quei titoli con un Morningstar Distance to Default che sia nel primo cinquantesimo percentile del suo settore. Maggiore è la distanza dall’insolvenza, minore è la probabilità che l’azienda cada in una spirale discendente e che dunque tagli o sospenda il pagamento del dividendo (In Figura 1 mettiamo a confronto la distanza l’indicatore Distance to Default con la probabilità di tagliare o sospendere i dividendi per le società statunitensi e per quelle domiciliate nel resto del mondo). Dopo aver applicato questi filtri, i nostri analisti selezionano le 75 società il dividend yield più elevato.

Figura 1: L’importanza della solidità finanziaria

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Di Francesco Lavecchia